Lo stare sulla terra vuol dire vivere
secondo usi e costumi ed è in questo ambito che si forma la
morale.
La morale si apprende perché venendo
nel mondo noi viviamo, cresciamo e ci sviluppiamo, apprendendo
regole.
E anche se queste regole poi le trasgrediamo,
che vuol dire intanto che le abbiamo apprese, la trasgressione
rappresenta un qualcosa di più importante, di più radicale,
e cioè che avendo appreso le regole, ne sappiamo istituire di
nuove.
La trasgressione non è anomia, anarchia,
perché ci sono delle regole che nel tempo diventano inadeguate
ai processi di trasformazione del mondo. Seguire le vecchie
regole in questi casi, vuol dire uniformarsi a qualcosa di sclerotizzato
e vincolante negativamente.
Non dobbiamo dimenticare che la capacità
di innovare vuol dire produrre norme, inventare regole nuove,
perché se noi pensiamo la regola soltanto come una dimensione
coattiva evidentemente non ne comprendiamo la natura.
Perché in effetti la regola non è altro
che l'apprendimento di un'abilità. Se noi a un bambino
insegniamo a camminare, a saltare, a mangiare, gli insegniamo
delle abilità, dei gesti, e quindi delle regole. Se fai questo
movimento sei più rapido, sei più agile, e ottieni un risultato
migliore in più breve tempo.
Nel momento in cui noi apprendiamo una
regola e diventiamo abili, qualcuno ce lo insegna e ci abilita,
allora nello stesso tempo ci obbliga. Ci obbliga nel senso che
la regola diventa uno stile.
È obbligatoria non perché qualcuno
la impone, ma è obbligatoria in ragione della sua efficacia
e utilità. Perché non rispettarla vuol dire arrivare in ritardo,
riuscire meno bene.
La dimensione dell'abilità e dell'efficienza
è data dal fatto che storicamente si selezionano comportamenti
orientati alla riuscita, e quando si dice riuscita si evoca
una parola centrale per la morale: il bene.
Perché il bene è l'azione riuscita.
Una capacità che perviene alla sua realizzazione
e alla sua perfezione. |
Allora non è vero che le regole inibiscono
il bene, ma lo producono. Nietzsche, grande immoralista, che
vedeva nelle morale un elemento depressivo, imprigionante, diceva,
nonostante ciò, qualcosa che suona grosso modo così:
le morali diventano morali quando si
perde di vista la ragione per cui sono nate.
Quindi, resta in Nietzsche una considerazione
negativa nei confronti della morale, ma nondimeno lui stesso
pensa che quando la morale si è formata non era negativa, era
un'abilità.
E un punto importante va sottolineato.
Se noi diventiamo abili in quanto ci sono regole efficaci, che
danno risultati, si facilita il loro apprendimento da parte
dei soggetti.
Ecco perché le morali non possono mai
essere individuali. C'è qualcuno che le insegna, e questo qualcuno
le ha apprese. E così avanti e indietro.
Quindi le morali si
presentano come sistemi relazionali, regole di comportamento,
paradossalmente senza autore.
Ecco perché sembrano eterne.
Noi ci accorgiamo che le morali diventano
diverse quando le comunità umane si incontrano, provenendo da
spazi diversi.
Nella storia dell'umanità le morali
hanno avuto un'evoluzione perché popolazioni distanti si sono
incontrate, e hanno capito che per stare insieme, bisognava
riformulare reciprocamente le regole, adattarle a quelle nuove
incontrate.
Le grandi civiltà sono tutte grandi
civiltà meticce. L'elemento costante della morale è dato
dal fatto che esiste un qualcosa che precede i soggetti, ma
i soggetti sono innovatori, in quanto ogni singolo è una novità
assoluta, è un portatore di novità, e quindi da questo punto
di vista le regole possono essere cambiate.
Possono essere anche trasgredite, ma
non si può stare senza regole pena la dispersione di noi stessi,
un’insensata anomia.
Ecco perché la morale è una condizione
della nostra esistenza nel mondo, ed è l'elaborazione che nella
storia l'umanità ha prodotto per realizzare strategie di felicità.
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