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Giancarlo Sacconi

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Morale 

Lo stare sulla terra vuol dire vivere secondo usi e costumi ed è in questo ambito che si forma la morale.
La morale si apprende perché venendo nel mondo noi viviamo, cresciamo e ci sviluppiamo, apprendendo regole.
E anche se queste regole poi le trasgrediamo, che vuol dire intanto che le abbiamo apprese, la trasgressione rappresenta un qualcosa di più importante, di più radicale, e cioè che avendo appreso le regole, ne sappiamo istituire di nuove.
La trasgressione non è anomia, anarchia, perché ci sono delle regole che nel tempo diventano inadeguate ai processi di trasformazione del mondo. Seguire le vecchie regole in questi casi, vuol dire uniformarsi a qualcosa di sclerotizzato e vincolante negativamente.
Non dobbiamo dimenticare che la capacità di innovare vuol dire produrre norme, inventare regole nuove, perché se noi pensiamo la regola soltanto come una dimensione coattiva evidentemente non ne comprendiamo la natura.
Perché in effetti la regola non è altro che l'apprendimento di un'abilità. Se noi  a un bambino insegniamo a camminare, a saltare, a mangiare, gli insegniamo delle abilità, dei gesti, e quindi delle regole. Se fai questo movimento sei più rapido, sei più agile, e ottieni un risultato migliore in più breve tempo.
Nel momento in cui noi apprendiamo una regola e diventiamo abili, qualcuno ce lo insegna e ci abilita, allora nello stesso tempo ci obbliga. Ci obbliga nel senso che la regola diventa uno stile.
È obbligatoria non perché qualcuno la impone, ma è obbligatoria in ragione della sua efficacia e utilità. Perché non rispettarla vuol dire arrivare in ritardo, riuscire meno bene.
La dimensione dell'abilità e dell'efficienza è data dal fatto che storicamente si selezionano comportamenti orientati alla riuscita, e quando si dice riuscita si evoca una parola centrale per la morale: il bene. Perché il bene è l'azione riuscita.
Una capacità che perviene alla sua realizzazione e alla sua perfezione.

Allora non è vero che le regole inibiscono il bene, ma lo producono. Nietzsche, grande immoralista, che vedeva nelle morale un elemento depressivo, imprigionante, diceva, nonostante ciò, qualcosa che suona  grosso modo così: le morali diventano morali quando si perde di vista la ragione per cui sono nate.
Quindi, resta in Nietzsche una considerazione negativa nei confronti della morale, ma nondimeno lui stesso pensa che quando la morale si è formata non era negativa, era un'abilità.
E un punto importante va sottolineato. Se noi diventiamo abili in quanto ci sono regole efficaci, che danno risultati, si facilita il loro apprendimento da parte dei soggetti.
Ecco perché le morali non possono mai essere individuali. C'è qualcuno che le insegna, e questo qualcuno le ha apprese. E così avanti e indietro.
Quindi le morali si presentano come sistemi relazionali, regole di comportamento, paradossalmente senza autore.
Ecco perché sembrano eterne. Noi ci accorgiamo che le morali diventano diverse quando le comunità umane si incontrano, provenendo da spazi diversi.
Nella storia dell'umanità le morali hanno avuto un'evoluzione perché popolazioni distanti si sono incontrate, e hanno capito che per stare insieme, bisognava riformulare reciprocamente le regole, adattarle a quelle nuove incontrate.
Le grandi civiltà sono tutte grandi civiltà meticce. L'elemento costante della morale è dato dal fatto che esiste un qualcosa che precede i soggetti, ma i soggetti sono innovatori, in quanto ogni singolo è una novità assoluta, è un portatore di novità, e quindi da questo punto di vista le regole possono essere cambiate.
Possono essere anche trasgredite, ma non si può stare senza regole pena la dispersione di noi stessi, un’insensata anomia.
Ecco perché la morale è una condizione della nostra esistenza nel mondo, ed è l'elaborazione che nella storia l'umanità ha prodotto per realizzare strategie di felicità.