Religione
La religiosità non è uno scopo, ma un mezzo per arrivare al più
alto grado di cultura attraverso la più pura pace interiore. Coloro
che considerano la religiosità come scopo e meta, diventano per lo
più degli ipocriti.
La religione è nata dal contatto con il mistero.
Nelle religioni tradizionali gli uomini si sono rapportati a Dio
come ad un essere superiore di cui si temeva innanzitutto il castigo
e a cui ci si rivolgeva per ottenere protezione di fronte a sciagure
immani.
Un Dio tappabuchi, un Dio attaccapanni al quale appendere i nostri
problemi.
Giambattista Vico diceva che la Religione nasce da un colpo di
tuono.
Secondo Dostoevskij, il popolo non cerca Dio, cerca il miracolo.
C'è al fondo anche un sentimento elevato, ma più vicino alla natura
dei rapporti tra padre e figlio.
Non a caso Dio è stato rappresentato più spesso con sembianze umane,
e non solo:
è diventato egli stesso uomo, nella religione a noi più vicina.
La nostra teologia ha creato un Dio crudele, che non perdona (come
invece saremmo chiamati a fare noi!), un Dio che ha preteso il
pagamento di un debito addirittura attraverso il sangue di suo
figlio.
Ma un Dio "che atterra e suscita, che affanna e che consola" resta
difficile da concepire.
Perchè mai le sue stesse creature dovrebbero essere punite o
ricompensate?
Dio non può essere un moralista, ma piuttosto un esteta.
Come è pensabile un Dio che eserciti la sua volontà nello stesso
modo con cui l'esercitiamo su noi stessi?
Come immaginare, infine, un individuo che sopravvive alla sua morte,
al disfacimento del suo corpo, e che si riappropria di quella
medesima carne e delle sue sembianze?
Non dimentichiamo, inoltre, che non c’è possibilità di dialogo con
chi accetta verità rivelate.
Dove non c’è il dubbio non c’è confronto, ma solo il tentativo di
convincere l’altro
Qui il dialogo diventa tra un sordo e l’altro.
L’ascolto è solo tolleranza superba. Ti ascolto per educazione,
ovvero per controbattere le tue convinzioni “sbagliate” e per
convincerti alle mie. In altre parole: per cambiarti.
L’uomo moderno è criticato perché ha tolto di mezzo l’ipotesi Dio
per spiegare e comprendere gli eventi del mondo.
La religione non è più la chiave di lettura per spiegare il mondo.
L’uomo è solo, con i suoi mandati e con la sua personale
responsabilità.
Auschwitz è stato in un certo senso un giro di boa.
Hannah Arendt si domandava dove fosse Dio ai tempi di Auschwitz.
E se lo è chiesto recentemente anche Benedetto XVI.
Ma la domanda da porsi è dove erano gli esseri umani ai tempi di
Auschwitz. Che ne era del loro senso di responsabilità?
Dietrich Bonhoeffer, un cristiano, sostenne che il nazismo non era
un male che veniva da Dio, ma dagli uomini. E gli uomini non devono
sfuggire alle proprie responsabilità ricorrendo all’ipotesi – alibi
di Dio. Essi devono poter capire responsabilmente anche se l’ipotesi
religiosa non esiste più; devono agire positivamente come se Dio non
ci fosse: “etsi Deus non daretur”. Ma anche Bonhoeffer si è posto la
stessa domanda della Arendt: dov'era Dio? Come ha potuto permettere
Auschwitz? Guardando la sofferenza atroce di tanti innocenti
Bonhoeffer dice: io non posso credere a un Dio onnipotente. Solo
posso amare questo Dio debole.
Ludwig Wittgestein dice che le parole sono come tasche e le tasche
non valgono per quello che sono ma per quello che ci si mette
dentro. La parola di Dio è una tasca e le persone mettono dentro
questa tasca le cose più disparate.
Negli anni, nei secoli, nei millenni ci siamo inesorabilmente
costruiti delle forme provvisorie di negazione della nostra
finitezza. Potremo noi, potrà uno qualsiasi di noi mai rinunciare
alla ricerca di un potere superiore con cui ci si possa fondere ed
esistere per sempre, rinunciare alla ricerca di manuali di
istruzione dati da Dio, di un qualche segnale di un disegno
stabilito più ampio, di un rituale e di una cerimonia?