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Giancarlo Sacconi

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Religione

La religiosità non è uno scopo, ma un mezzo per arrivare al più alto grado di cultura attraverso la più pura pace interiore. Coloro che considerano la religiosità come scopo e meta, diventano per lo più degli ipocriti.

La religione è nata dal contatto con il mistero.

Nelle religioni tradizionali gli uomini si sono rapportati a Dio come ad un essere superiore di cui si temeva innanzitutto il castigo e a cui ci si rivolgeva per ottenere protezione di fronte a sciagure immani.
Un Dio tappabuchi, un Dio attaccapanni al quale appendere i nostri problemi.
Giambattista Vico diceva che la Religione nasce da un colpo di tuono.
Secondo Dostoevskij, il popolo non cerca Dio, cerca il miracolo.

C'è al fondo anche un sentimento elevato, ma più vicino alla natura dei rapporti tra padre e figlio.
Non a caso Dio è stato rappresentato più spesso con sembianze umane, e non solo:
è diventato egli stesso uomo, nella religione a noi più vicina.

La nostra teologia ha creato un Dio crudele, che non perdona (come invece saremmo chiamati a fare noi!), un Dio che ha preteso il pagamento di un debito addirittura attraverso il sangue di suo figlio.

Ma un Dio "che atterra e suscita, che affanna e che consola" resta difficile da concepire.
Perchè mai le sue stesse creature dovrebbero essere punite o ricompensate?
Dio non può essere un moralista, ma piuttosto un esteta.
Come è pensabile un Dio che eserciti la sua volontà nello stesso modo con cui l'esercitiamo su noi stessi?
Come immaginare, infine, un individuo che sopravvive alla sua morte, al disfacimento del suo corpo, e che si riappropria di quella medesima carne e delle sue sembianze?

Non dimentichiamo, inoltre, che non c’è possibilità di dialogo con chi accetta verità rivelate.
Dove non c’è il dubbio non c’è confronto, ma solo il tentativo di convincere l’altro
Qui il dialogo diventa tra un sordo e l’altro.
L’ascolto è solo tolleranza superba. Ti ascolto per educazione, ovvero per controbattere le tue convinzioni “sbagliate” e per convincerti alle mie. In altre parole: per cambiarti.

L’uomo moderno è criticato perché ha tolto di mezzo l’ipotesi Dio per spiegare e comprendere gli eventi del mondo.
La religione non è più la chiave di lettura per spiegare il mondo.
L’uomo è solo, con i suoi mandati e con la sua personale responsabilità.

Auschwitz è stato in un certo senso un giro di boa.
Hannah Arendt si domandava dove fosse Dio ai tempi di Auschwitz.
E se lo è chiesto recentemente anche Benedetto XVI.
Ma la domanda da porsi è dove erano gli esseri umani ai tempi di Auschwitz. Che ne era del loro senso di responsabilità?


Dietrich Bonhoeffer, un cristiano, sostenne che il nazismo non era un male che veniva da Dio, ma dagli uomini. E gli uomini non devono sfuggire alle proprie responsabilità ricorrendo all’ipotesi – alibi di Dio. Essi devono poter capire responsabilmente anche se l’ipotesi religiosa non esiste più; devono agire positivamente come se Dio non ci fosse: “etsi Deus non daretur”. Ma anche Bonhoeffer si è posto la stessa domanda della Arendt: dov'era Dio? Come ha potuto permettere Auschwitz? Guardando la sofferenza atroce di tanti innocenti Bonhoeffer dice: io non posso credere a un Dio onnipotente. Solo posso amare questo Dio debole.


Ludwig Wittgestein dice che le parole sono come tasche e le tasche non valgono per quello che sono ma per quello che ci si mette dentro. La parola di Dio è una tasca e le persone mettono dentro questa tasca le cose più disparate.

Negli anni, nei secoli, nei millenni ci siamo inesorabilmente costruiti delle forme provvisorie di negazione della nostra finitezza. Potremo noi, potrà uno qualsiasi di noi mai rinunciare alla ricerca di un potere superiore con cui ci si possa fondere ed esistere per sempre, rinunciare alla ricerca di manuali di istruzione dati da Dio, di un qualche segnale di un disegno stabilito più ampio, di un rituale e di una cerimonia?