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Giancarlo Sacconi

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Il "Prossimo"

Prossimo è colui che viene amato. Il buon samaritano ama il prossimo, così Gesù risponde nella parabola del buon samaritano. Amare qualcuno vuol dire riconoscerne l'umanità. E l'umanità ha bisogno di essere riconosciuta, eccome.

Il prossimo è l'oggetto di un imperativo, non per nulla Kant indica il prossimo come oggetto di un dovere. Il prossimo non è un dato. Noi per prossimo intendiamo quello che ci sta davanti e che si rende visibile. Ma il prossimo, anche se la parola ci fa pensare che ci stia vicino, è lontanissimo.

Oggi la tecnica è in grado di costruire il robot, che dal punto di vista linguistico e comportamentale, batte tanti luoghi dell'essere uomo, di molti di coloro che noi chiamiamo nostro prossimo.

Quando parliamo di prossimo non ci accontentiamo di ciò che vediamo, del visibile. Noi non pensiamo al prossimo quando vediamo un robot che, oltre a vincerci a scacchi ha, poniamo, anche altre prestazioni di un individuo umano, ma intendiamo quell’interiorità che il robot non può avere.

Se parlo con te che mi ascolti, io non penso di vedere il prossimo nella figura che mi sta davanti, che mi sta ascoltando. Io dialogo in realtà con ciò che credo sia qualche cosa che non è visibile: con la tua interiorità. E per fare ciò devo interpretare il tuo comportamento linguistico come l'espressione di una interiorità.

Quindi il prossimo è l'oggetto di un’interpretazione e non esiste un’interpretazione incontrovertibile.

In effetti "Prossimo" è un lontanissimo, lontano come Dio. Dimostrare l'esistenza di Dio è come dimostrare una lontananza uguale a quella che avremmo davanti se dovessimo dimostrare l'esistenza del prossimo.