La Fede
Con la fede l'uomo si difende dalla morte, invocando il Dio.
Perchè quello che ci interessa di più, e che ha sempre interessato di più l'uomo, è il problema della morte, l'imminenza, l'incombenza della morte. Anche i greci hanno parlato di Dio, ma non perché erano dei teologi o degli intellettuali. I greci hanno visto in Dio innanzitutto "il luogo" in cui viene messo al sicuro tutto ciò che ci preme e che vogliamo conservare. Tutto ciò che amiamo. E allora tutto ciò è là, tutelato per sempre. Non c'entra nei greci la teologia come istanza primaria. C'entra l'orrore per la morte. La volontà di combattere la morte. E allora si evoca il Dio. Ma lo si evoca cercando di evitare i miti della parola. E cioè cercando rendere fermo ciò che si afferma, nel senso che sia qualcosa di inoppugnabile. La fede invece ci prende, ci fa vivere per millenni un'esistenza mitica, cioè basata sulla parola, ma poi è inevitabile che il dubbio si faccia avanti, e che si invochi una parola incontrovertibile che dica in modo incontrovertibile, non per semplice fede, che cosa ci salva dalla morte, e dal niente. E allora la fede può fiventare come un capitale depositato in una banca, da cui si attinge nei giorni del bisogno. Gli uomini preferiscono credere nelle verità rivelate e rinunciare alla propria libertà di pensiero. Sì, è vero, l'atteggiamento fideistico toglie l'insicurezza, soddisfa i bisogni e placa le sofferenze. Ma l'uomo così facendo abdica alla sua facoltà più importante, che è l'esigenza di conoscere. L'esatto contrario dello straordinario insegnamento dantesco: "fatti non foste......." . La fede annulla la capacità di dialogo. Chi ha fede non ascolta. Perché ci sia una capacità vera di ascoltare, bisogna essere una persona che ha dei dubbi. Perché le persone che hanno solo certezze, anche quando mostrano di ascoltare educatamente l'interlocutore, lo fanno solo come manifestazione di buona creanza. Per questo non è molto comprensibile il concetto di dialogo religioso o tra religiosi di diverse fedi. In queste manifestazioni di rispetto reciproco, c'è soltanto dell'ipocrisia. Ciascuno "tollera" l'altro, cioè si mostra benevolo nell'ascoltare le idee "pazzerelle", se non le stupidaggini, dell'altro. Ma non ha alcuna vera intenzione di mettere in discussione il proprio credo. Chi è disposto veramente ad ascoltare è invece colui che non ha certezze, colui che coltiva il dubbio, che nel contatto con l'altro, scopre insieme all'altro, un altro modo di vedere le cose, a cui adegua i propri convincimenti. Le fedi religiose non tollerano la separazione tra sfera privata e ambito pubblico, fra spirituale e temporale, ma scorgono nelle pieghe della vita ora luci della verità ora le tenebre dell'errore. |
Nel buonismo imperante oggi tutti vorrebbero dimostrare di essere
aperti, capaci di accettare con "buona volontà" la vicinanza
dell'altro. Ma si tratta solo di parole vuote, perchè in realtà, per esempio, nessun cattolico vorrebbe contaminarsi con un islamico o viceversa. Nei fatti, invece, il missionario cattolico stabilisce il contatto con l'islamico (o altro) per "convertirlo" alla propria verità. E di converso sentiamo islamici che combattono l'occidente e vorrebbero farlo aderire ai propri modi di vita. In altre parole: così nascono i fondamentalismi! Infatti, finché si vive chiusi in un recinto non sorgono conflitti, ma con il moltiplicarsi dei contatti, quando uno si accorge che chi gli sta vicino dissente dal suo modo di pensare e di vivere, e vuole restare coerente, comincia a provare risentimento per la mancanza di rispetto dell'altro, e restituisce quel sentimento di insofferenza, che tende così a crescere, fino a trasformarsi, come vediamo in odio aperto. Purtroppo non bastano le dichiarazioni buoniste per superare questi insanabili black-out. Ogni manifestazione di apertura diventa infatti, per l'uomo di fede, solo un fastidio, un obbligo imposto da motivazioni di ordine sociale, non da una convinzione di dialogo. E tutto rimane come prima. Dietrich Bonhoeffer, così interpreta la Fede: “C’è buio in me, in te invece c’è luce; sono solo, ma tu non mi abbandoni; non ho coraggio, ma tu mi sei di aiuto, sono inquieto, ma in te c’è pace; c’è amarezza in me, in te pazienza; non capisco le tue vie ma sai qual è la mia strada. (Natale 1943, dal carcere nazista). Quando Bonhoeffer vide la sofferenza atroce degli innocenti, arrivò a dire io non posso credere a un Dio onnipotente. Posso solo amare questo Dio debole. Non potrei perdonare a Dio questa situazione se Egli fosse onnipotente e la permettesse. Ecco quindi la mia fede in un Dio debole che chiede il mio aiuto. |