Dire Stato è dire laicità. Lectio di Massimo Cacciari. Perugia. 20
giugno 2009. Dire Stato è dire laicità.
Lo Stato è laico per definizione, è laico per essenza.
Lo Stato nasce da una lunga lotta che poteri laici, poteri
secolari rappresentanti di ceti sociali, di classi sociali
ben definite, ben determinate, conducono contro ogni formula
di ierocrazia.
Lo Stato nasce da questa lotta politica e non solo politica,
ma anche culturale e filosofica.
Quindi è impensabile storicamente uno Stato moderno non
laico.
L' atto d'origine, di nascita è questo.
I processi evolutivi dello Stato laico.
I Risorgimenti europei non sono altro che un momento, un
episodio di questa storia che inizia tra il 200 e 300 con
l'affermarsi di nuove classi sociali, di nuove culture
politiche, di nuove filosofie, di nuove scienze. All’inizio
esprime una situazione incerta, insicura. Tipica è la
posizione dantesca per andare solo ai vertici sommi di
questo travaglio secolare. Perché da un lato Dante afferma
con estrema chiarezza l'autonomia dell’imperium nei
confronti del sacerdotium, contro una secolare tradizione
precedente. Ma nella complessità della visione dantesca,
allo stesso tempo, è evidente che un primato spirituale
spetta al sacerdotium.
Questo era proprio anche dei dottori medievali che
affermavano da un lato l'autonomia della loro ricerca, erano
i magistri cattedrae semplicemente, i dottori, e dall'altra
parte riconoscevano la superiorità dell’autorità spirituale
dei magistri cattedrae spiritualis, che erano
sostanzialmente i vescovi.
Quindi per un secolo, un secolo e mezzo c'è una situazione
di grande incertezza.
La svolta del XIV secolo.
Il nodo gordiano viene tagliato dalla cultura europea con
Marsilio già nel corso del XIV secolo. Da lì faticosamente
matura ,culturalmente, filosoficamente, ancora prima, e poi
praticamente e politicamente, la nascita di quel prodotto
tipico dello spirito europeo che è lo Stato moderno
contemporaneo.
Naturalmente la storia è molto più complessa. Noi sappiamo
che lo Stato moderno contemporaneo nasce anche ereditando
molti tratti dell'organizzazione ierocratica, riassumibili
nella forte organizzazione centrale del papato nei suoi
momenti più aurei, la forte coesione tra l’organizzazione
periferica, l'insieme dei vescovi, il concilio, e il centro
papale. Questo è un grande modello per la formazione dello
Stato moderno contemporaneo. Quindi nessuna astratta
separatezza come se ci fosse da una parte la storia del
sacerdotium e dall'altra la storia dell'imperium, senza
porte né finestre, queste sono visioni risibili da un punto
di vista storico e scientifico.
Lo Stato moderno consapevolmente eredita l'idea centrale
dell'organizzazione centralistica propria dell'autorità
spirituale.
Tuttavia nel corso del fuoco delle grandi guerre religiose
fra 400 e 500 si forma quella che è l'idea del tutto laica
dello Stato moderno contemporaneo.
Il potere sovrano dello Stato moderno.
Sono i grandi teorici del cinquecento in qualche modo
precorsi tutti dal nostro Machiavelli. Le parole più dure,
più esplicite a questo proposito le conoscete tutti, ma mi è
utile ripercorrere questa storia per evidenziarne i tratti
più salienti. Insomma le parole di Machiavelli e, a seguire,
le parole di Hobbes. Uno Stato moderno se vuole superare le
condizioni di conflitto e di contraddizione che dominano
nella società deve erigersi a potere sovrano. Quando si dice
potere sovrano si intende qualcosa di molto preciso. Il
potere sovrano è un potere fonte di legge e non è a nessuna
legge subordinato. Questo è il concetto di sovranità. Il
sovrano è concepibile logicamente e coerentemente come tale,
legibus solutus, perché se obbedisce alle leggi non è
sovrano, è evidente. Quindi la sovranità dello Stato, così
com'è ipotizzata in modo del tutto logico da Bodin, non può
ammettere particolari stati di autonomia al suo interno,
nessun interesse particolare può ergersi a parte separata
dall’intero, deve essere un volto e un aspetto dell’intero.
Ciò che vale è l’intero. Ma il sovrano poiché è colui che fa
la legge, non può essere a sua volta sottoposto alla legge,
è legibus solutus. Queste sono parole esplicite, citazioni
letterarie famose, parole che ritroviamo tali e quali in
Hobbes. In questo quadro non è possibile alcuna potestas
indiretca, questo è molto importante. Lo Stato non può, per
definizione, concedere un qualche potere indiretto ad altri
soggetti. Questo comporterebbe che, in temporalibus, in uno
Stato possano esservi diverse autorità. E invece non possono
esserci diverse autorità in uno Stato. Quindi l'affermazione
netta della laicità dello Stato in questo contesto suona
appunto in questi termini. E si può meglio definire come una
sovranità totalmente laica la cui legittimità ha una fonte
che nulla ha a che vedere con una fonte di altro genere,
appunto di carattere religioso trascendente etc..Quindi uno
Stato che detta le leggi e non ammette all'interno dei suoi
confini nessuna potestas indirecta.
Hobbes: no ai seductores, no alle sette.
Hobbes esplicita qual è l'obiettivo polemico di questo
discorso e lo esplicita in modo durissimo nel Leviatano.
Chi sono costoro che minacciano di fare parte a sé nello
Stato minandone così la sovranità?
Chi sono i seductores, coloro che vogliono sedurre, cioè
portare letteralmente lo Stato fuori strada?
Chi sono i seductores che minano l’unità e la indivisibilità
del potere statuale?
I peggiori sono i papisti. E qui Hobbes è del tutto
imparziale,da questo punto di vista, perché aggiunge: i
papisti sì, ma anche ogni forma di setta. All’interno
dell’organizzazione statuale è vietato fare setta, nel senso
letterale del termine, fare a sé. Ci sono interessi privati
di carattere evidentemente economico, ma non possono esservi
sette da un punto di vista non solo politico, ma neanche
religioso, perché anche questo minaccia in temporalibus,
appunto, l’unità e l’indivisibilità del potere statuale.
Un’unica fonte dunque della Legge e un’unica potestas che
non ammette nulla di diverso e autonomo. Come quella che di
fatto eserciterebbe anche una setta che volesse presentarsi
semplicemente come setta religiosa, senza nessuna
implicazione politica. In realtà questa sarebbe nient’altro
che un’ipocrisia, perché darebbe vita ad una organizzazione
nello Stato, una organizzazione che fa a sé, setta, nello
Stato, una organizzazione che vuole valere di per sé nello
Stato.
Quindi questo è il concetto fondamentale da capire se
vogliamo andare alla radice dei problemi e delle
contraddizioni che in qualche misura ancora ci dividono.
Questo è fondamentale, cioè che l’atteggiamento della
sovranità statuale e che è assolutamente definito fin
dall’inizio a questo proposito. La dimensione religiosa
propriamente religiosa può aversi luogo nello Stato, nella
organizzazione statuale, soltanto nella misura in cui non dà
vita ad alcuna potestas indirecta, non dà vita ad alcuna
setta, insomma rimane esclusivamente affare privato.
Nell’intimità di ognuno di noi è libero di credere quello
che vogliamo.
La libertas philosophandi.
Ma attenzione perchè questa che viene affermata da filosofi
come Hobbes e Spinoza, è una posizione completamente diversa
da una libertas philosophandi.
Nel contesto generale, voi sapete che è lo stesso
atteggiamento che Spinoza ha nei confronti dei filosofi.
Perché se noi leggiamo queste affermazioni in termini
sistematici, come vanno lette, la situazione è completamente
diversa.
Da un lato è una libertà puramente privata, proprio
dell’idiota, tornerò su questo termine, che è libero di
pensare a livello interiore quello che vuole in materia
religiosa, o meglio in materia di fede, e dall’altra la
libertas philosophandi è rivendicata in un senso
completamente diverso. Viene rivendicata come la libertà di
ricerca, di indagine scientifica che viene comunque e
dovunque affermata come il motore essenziale della crescita
e dello sviluppo dello Stato moderno contemporaneo.
Cioè mentre da un lato tu hai una libertas religiosa che
viene meramente tollerata nella intimità del proprio cuore e
dico cuore perché non ha a che fare con la mente, per
costoro, dall’altro tu hai la libertà di ricerca, certo
individuale, ma che viene affermata e viene riconosciuta
come elemento essenziale della modernità e della
contemporaneità.
Quindi lo Stato rispetto alla libertas philophandi, fa i
propri interessi di fondo. Infatti in Olanda, esempio tipico
dove vi è libertas philodophandi, si vede lo straordinario
progresso civile economico e sociale.
È completamente diverso.
La libertà religiosa.
Quindi il discorso non è affatto applicabile alla libertas
religiosa .
Quindi vi è una dissimmetria radicale da un punto di vista
sistematico tra il riconoscimento della libertà religiosa e
il riconoscimento della libertà della filosofia e anche
della scienza che era, come giusto che fosse, perfettamente
simbolica.
Qui nella libertas philophandi ci troviamo in una situazione
tutta simmetrica rispetto all’altra, attenzione tutta
simmetrica. Da qui tutte le tensioni e le contraddizioni
che, premetto una conclusione generale, che sono parte della
vita e della energia, della potenza in tutti i sensi della
nostra cultura e della nostra civiltà. Tensione, polarità,
dissimmetrie dentro alle quali troviamo appunto energie.
La posizione dello Stato laico.
Vediamo le origini della posizione dello Stato laico,
cercando di seguire una posizione logica come sono stato
invitato a fare, e di vedere questo problema sotto un
profilo logico e filosofico e non cronachistico o
sociologico.
La posizione dello Stato moderno contemporaneo, lo Stato
laico nella sua essenza, riconosce, e ripeto, riconosce, non
soltanto tollera, la libertà religiosa.
Sì, ma la riconosce almeno nella sua origine come libertà
interiore.
È come la filosofia?
No, non è come la filosofia. Non c'entra assolutamente
nulla, dissimmetria profondissima.
E allora, come la riconosce?
Come libertà di esprimersi. Certo che posso anche dire,
esprimere la mia fede.
Perché posso dire la mia fede?
Tutta questa idea viene prima ancora di Machiavelli. Non ha
una fonte europea, ma averroistica. Averroè influenza tutto
questo filone della cultura politica europea, e non a caso
Averroè non esiste nell'Islam, è totalmente assente, fuorché
in alcune sette intellettuali a partire dalla sua stessa
epoca.
Certo che tu puoi esprimere anche la tua fede, ma in che
termini la puoi esprimere?
Nei termini in cui essenzialmente la religione, può valere
in temporalibus l’affermazione religiosa, può valere
soltanto nei termini in cui invita all’obbedienza. Cioè
mentre i dotti, coloro che possono aspirare alla filosofia,
usano la mente per capire, per attingere alla verità, e per
indicare il fondo, la sostanza religiosa delle stesse
tradizioni, la sostanza di verità delle stesse tradizioni
religiose, io che ho Spinoza vi spiego come dovete pensare
Dio. Così come diceva Averroè.
Questo non può essere insegnato agli indotti che sono la
grande moltitudine, e la religione in temporalibus ha questa
funzione essenziale, attraverso la sua applicazione, e in
questo non è solo tollerata, ma ne è riconosciuta la
validità. È la religione che si limita ad invitare, a
predicare e ha indurre gli indotti alla obbedienza. Questo
lo trovate in tutti gli autori che ho citato, in tutta
questa tradizione.
La religione come strumento,come favola.
E i grandi profeti questo fanno, dice Spinoza nel Trattato
filosofico e politico. La loro profezia, il loro dire, di
cui il filosofo può indicare in fondo la sostanza di verità,
ma che vengono comunicate ad una moltitudine, fanno di una
moltitudine un popolo che non potrebbero fare in altri
termini se non con una favola religiosa. Ma bisogna capirlo
bene, costoro intendono le tradizioni religiose come favole.
Questo è il punto. Questo è il punto di tensione,
dissimmetrico, non è semplicemente una tolleranza o un
riconoscimento della dimensione religiosa. Fosse così
semplice, no, è una critica radicale della tradizione
religiosa. Cioè, i grandi teorici dello Stato laico,
svolgono, se noi andiamo al di là della parola, allo spirito
dei loro interventi e dei loro grandi sistemi, svolgono una
critica radicale alla tradizione religiosa, e intendono il
valore soltanto in una chiave, diciamo così etica, ma la
parola è già troppo impegnativa. Possiamo dire, poi con
quella che sarà la teoria di fondo, nell’epoca cosiddetta
della secolarizzazione, da parte dell’ideologia liberale, la
derubricazione del fenomeno religioso a fatto etico. Nella
predicazione religiosa a predicazione etica. Interessati,
intenzionati essenzialmente a produrre obbedienza
all’interno dello Stato. Un Stato in cui la sovranità è
unica, indivisibile e il cui sovrano è l’eticus solutus.
Questo è il nocciolo originale.
Ma non c’è divisione dei ruoli e delle parti.
Questo è il nocciolo originale. E capite bene quanto sia
complesso, quanto sia difficile, quanto sia contraddittorio.
È fatto di dissimmetrie. Guai a cadere nell’equivoco che
tutto possa essere risolto soltanto affermando che vi è un
potere politico autonomamente fondato che attua da sé, in
una sua dimensione ben circoscritta e pacificata la
testimonianza religiosa.
Non è così! Non vi può essere questa vieta divisione dei
ruoli, questa vieta divisione delle parti. Perché da un lato
c’è un potere che costitutivamente deve affermare un
discorso, grosso modo analogo a quanto vi ho detto nei
confronti della dimensione religiosa e la dimensione
religiosa non potrà mai farsi derubricare, in modibus,
semplicemente a educazione dei costumi all’obbedienza.
Come lo Stato laico non può derubricare se stesso a pura
amministrazione tecnico-economica. Non può dire io sto in
temporalibus e gli altri stanno in modibus
Lo Stato non può rinunciare ad una autorità che appunto non
sia quella che deriva soltanto da un buona amministrazione.
Così dall’altra parte non può esistere una dimensione
religiosa che si accontenti, che si soddisfi all’interno
della predicazione etica volta a tenere buoni.
Se noi insistiamo in questa utopia neanche tanto generosa di
pensare che la laicità dello Stato possa contemplare là
fuori come un altro fuori di sé e dividersi tranquillamente
le parti. Neanche in una commedia succede così, non dico in
una tragedia, come quella europea.
L’utopia liberale.
Dividersi tranquillamente le parti, io che faccio il
politico tu che ti interessi di questioni religiose. Questa
è una utopia che di volta in volta emerge anche nella storia
europea.
Un’utopia soprattutto liberale, di un certo liberalismo che
si immagina che si possa depotenziare la dimensione politica
dello Stato fino a ridurlo quasi a funzione tecnico
amministrativa, si possa superare questa dimensione
politica. E perché? Perché nella dimensione politica c’è
inevitabilmente anche la volontà di essere autorevoli da un
punto di vista spirituale.
E quando tu entri necessariamente facendo politica, in
questa dimensione, ogni astratta separatezza viene
necessariamente meno e comincia un’altra cosa, comincia il
dialogo, comincia il der sprecht . Che è il padre di tutte
le cose.
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La dimensione religiosa non può essere neutrale.
Forse potamòs (panta rei os potamòs) di quel signore
cosiddetto presocratico può essere anche tradotto così:
tutte le cose colloquiano, anche laddove vuoi tenerle
assolutamente separate.
Tu taci in munere alieno. Tu teologo taci in munere alieno.
*Silete theologi in munere
alieno.
Alberico Gentili di San Ginesio (Macerata) è uno dei
fondatori del diritto internazionale.
Nel 1588 intimò ai teologi di tacere in faccende che non li
riguardavano, e di passare la mano ai giuristi, dando
formalmente inizio al processo di secolarizzazione. (ndr)
Ma come faccio a tacere in munere alieno?
Sì, tacerei in munere alieno se fossi soltanto un
predicatore di obbedienza. Ma invece non è così. Il discorso
religioso si svolge anche al di là di ogni pretesa
ierocratica. Non si tratta di nostalgie ierocratiche. Anche
all’interno dello Stato moderno contemporaneo che cos’è che
dice, che afferma, che predica, che profetizza, una
dimensione religiosa?
Io teologo svolgo il discorso religioso volente o nolente,
se è tale, e se è tale non può essere semplicemente
un’etica, un invito ai costumi buoni, all’obbedienza.
E se è così ecco che svolge necessariamente una critica nel
senso letterale del termine, mette costantemente in
discussione ogni pretesa di totalità di quella sovranità del
legibus soluta.
Questo fa, e questo è.
I Bodin, gli Hobbes e gli Spinoza lo capiscono
perfettamente. Certo voi direte la condizione storica, le
guerre di religione, sì, ma queste non erano persone che
ragionavano soltanto sui fatti, erano dei grandi filosofi
che ragionavano in modo sistematico, ragionavano per
l’eterno. Certo, a partire da quella situazione storica .
Ma lo Stato moderno non vuole condividere con altri la
propria autorità.
Ma dicevo per l’appunto che la teoria dello Stato non può
reggersi, laddove all’interno ci siano altre autorità vere,
autentiche autorità e un’autorità non è un’autorità se non
svolge anche una qualche potenza spirituale.
Queste sono le potenti dissimmetrie che regolano questi
rapporti, queste dimensioni.
Per cui appunto da un lato una dimensione religiosa che è
sempre riserva critica nei confronti di ogni sovranità che
si manifesti non soltanto come indivisa, ma anche
tendenzialmente sempre legibus soluta. Questa tendenza,
questa tentazione non è immanente allo stato moderno
contemporaneo. Non vengono i marziani da fuori, quando si
presenta quello che dice sono sciolto dalle leggi, sono
absoluto e si assolve. Non è l’invasione dei marziani.
È qualcosa che è una possibilità immanente all’idea di Stato
moderno contemporaneo. Ed è questo pericolo che viene
costantemente criticato e contestato dalla dimensione
religiosa, al di là di ogni prospettiva ierocratica, non è
assolutamente necessario che si collochi in una prospettiva
ierocratica. È la riserva escatologica della dimensione
profetica nei confronti dello Stato laico e moderno
contemporaneo che ha immanente in sé, intrinseca e
connaturata in sé questa possibilità. È la possibilità con
cui occorre costantemente reagire, a volte questa
possibilità emerge in modo tragico, a volte in modo
farsesco, ma questa possibilità dello Stato proprio per la
sua natura e per la sua origine di presentarsi come qualcosa
di totalizzante e legibus absolutus è immanente alla sua
natura e la dimensione religiosa al di fuori della
prospettiva ierocratica, avanza una ricerca escatologica
continua contro questa possibilità.
Necessità di dialogo tra le due posizioni.
E allora e d’altra parte uno Stato laico non dovrebbe
riconoscere pienamente e cioè farsi da sé critica in senso
letterale, cioè capire, che vuol dire giudicare, non
dovrebbe sapersi in ogni istante della sua storia e del suo
divenire giudicare anche sulla base di questo parametro?
C’è la riserva escatologica che è propriamente religiosa e
c’è il giudizio dello Stato.
Come mi colloco all’interno di questo vulnus, di questo
conflitto, di queste contraddizioni?
Come guarisco da ogni tentativo da ogni tentazione di pormi
come sovranità una e indivisibile. perché il mio potere
resti indivisibile?
Perché questo mito deve reggere?
E’ necessario questo mito unitario totalizzante della
sovranità?
Non potrebbe starci che il potere possa anche essere diviso
tra diversi soggetti, nell’ambito suo, del potere laico, del
potere statuale?
L’idea del federalismo non è questa?
Il federalismo è proprio questo: l’unità rimanendo tale può
essere esercitata e amministrata da diversi soggetti.
Responsabilizzando diversi soggetti alla amministrazione
dell’unità. L’unità non è necessariamente uno. L’unità non è
necessariamente il sovrano.
Ecco allora dove può nascere il dialogo. E nello stesso
tempo questa posizione da parte dello Stato laico può
reagire contro tutte le possibilità interne alla riserva
escatologica religiosa.
Da questo punto di vista se lo Stato laico riesce a svolgere
in sé, questo giudizio di sé, dare questo giudizio, essere
in posizione critica nei suoi stessi confronti.
Senza contentarsi continuando a dire Stato laico, Stato
laico, Stato laico, credendo che con questo ritornello dice
qualcosa.
Se sei in posizione critica costantemente nei confronti
della tua storia, della tua natura, allora sì puoi
esercitare efficacemente la critica, alle tentazioni, alle
seduzioni che la dimensione religiosa a suo volta può avere.
Perché certo che anche lì anche nel suo principio, vivono un
insieme di possibilità contraddittorie.
Vi è la riserva escatologica, ma vi è anche la tentazione di
fare di questa riserva escatologica più o meno
immediatamente legge.
C’è la tentazione della religio civilis che è immanente alla
dimensione religiosa, è immanente alla dimensione profetica.
Io avanzo la mia riserva:
Bada Stato, tu hai limiti. Il tuo potere è un potere
sinottico determinato e può valere soltanto in questo
ambito.
TU Stato, critica il mito della tua indivisibilità e della
tua unità sovrana, perché ciò non è assolutamente
necessario.
La dimensione profetica può svolgere questa funzione, ma
capovolta al suo interno, la dimensione profetica non può
eliminare la possibilità di presentare questa riserva come
elemento fondante di un’attività puramente amministrativa e
legislativa. Questa possibilità rimane aperta.
Ma uno Stato laico capace di auto criticarsi continuamente è
in grado di denunciarla con efficacia.
Ecco allora il dialogo, ecco il dialogo tra responsabilità
politica e convinzione religiosa.
La responsabilità della politica.
La responsabilità di un politico si fonda sulla
consapevolezza dell’essere tutto limitato nel suo potere, e
sulla base di questa consapevolezza il potere può essere
articolato in termini appunto federali.
E nella consapevolezza che dall'altra parte non hai le
favole, non hai la religione derubricata a etica, ma hai o
al limite a questo punto, desideri di avere la profezia.
Perché la profezia è quello specchio custode nei tuoi
confronti se ce l’hai davanti autenticamente. È un richiamo
forte al tuo limite e ti impedisce in qualsiasi momento di
immaginare che il tuo potere detenga un’autentica autorità
spirituale. E nello stesso tempo ti riconosce l'autorità
spirituale, si è anche mosso al dialogo con lei, con
quell'altra dimensione, al rapporto, alla creazione. E qui
hai tutta la capacità e la forza di denunciare in
quell'altra dimensione i tentativi che ricorrono
inesorabilmente, e che non guariranno mai, perché l'Europa
come diceva Nietzsche è quel malato che quando guarirà
creperà.
Quell'altra dimensione, in cui la possibilità appunto
dell'affermazione non dico ierocratica, ma dell'affermazione
di far valere quella convinzione come legge, è sempre
aperta. Da un lato la responsabilità. Io so il mio limite.
Quello è il mio fine storicamente determinato. Quelli sono i
mezzi con cui intendo perseguirlo in modo assolutamente
trasparente e chiaro. Questi sono i mezzi e me ne assumo la
responsabilità, cioè sono perfettamente imputabile di tutto
ciò.
La gente deve sapere appunto il mio fine, i mezzi che
intendo e gli effetti del perseguire quel fine mi devono
essere tutti imputabili.
Questa è l'idea retroattiva della responsabilità politica.
Ed un politico che si definisce in questi termini critici è
il migliore critico di ogni tentativo da parte della
dimensione chiamiamola della convinzione religiosa di farsi
legge, all'interno dello Stato.
Perchè la convinzione religiosa afferma dei valori che sono
diversi da quelli del politico, certo. Mica sono valori
storicamente determinati.
Il limite della posizione laica.
Ed è qui il peccato mortale da parte del laico. Di ritenere
che la religione possa essere derubricata a valore
storicamente determinato tanto da potergli dire: togliti di
mezzo. E tutte le ideologie sulla secolarizzazione sono
state queste: la religione si toglierà di mezzo. E non so,
può darsi anche che si toglie anche di mezzo, ma poi i
risvegli sono bruschi.
E poi cosa succede? Succede niente. Succede sì ‘sto disastro
dello spirito europeo, dello spirito mediterraneo.
Quindi bisogna riconoscere questo dialogo in tutta la sua
pericolosità. Ma i dialoganti saranno tanto più dialoganti,
e tanto meno polemici, nella misura in cui sapranno i
pericoli che hanno all'interno del loro linguaggio e della
loro dimensione. Sapranno quanto pericolosi sono il loro
linguaggio e la loro dimensione. E tanto meglio lo sapranno
quanto più si riconosceranno.
• Perché io appunto sullo specchio dell'autentica
convinzione religiosa riconosco molto bene il mio limite e
quindi so benissimo criticarlo in ogni mia aspirazioni
totalitarie in qualsiasi modo si presentino.
• E la convinzione religiosa sullo specchio della
responsabilità politica, a sua volta saprà meglio
riconoscere qual è il proprio linguaggio e la propria
interiore dimensione, che è quella appunto della riserva
escatologica non di imporre la legge.
Anzi ancora di più: riconoscerà che la religio civilis, che
la tendenza alla religio civilis è proprio bestemmia.
Questo va detto direi va gridato. La tentazione della
religio civilis non è qualcosa che il politico laico, il
politico responsabile, debba denunciare come il peccato,
diciamo la colpa di un avversario politico.
No, il politico laico, nei termini che ho detto, dovrebbe
tentare nel suo dialogo con la convinzione religiosa di
dire: bada è un tradimento per te e in te. Perché se la tua
essenza è quella di esercitare questa formidabile critica
che è la riserva escatologica rispetto ad un assetto
politico, nella misura in cui tu tendi ad una forma di
religio civilis tradisci te stesso, non è che fai del male
allo Stato laico, ma tradisci se stesso, Bestemmi la tua
natura. Questo è il discorso da fare, questo è il discorso
efficace nei confronti di chi è autenticamente convinto
religiosamente, questo è il discorso da fare.
Il logos è laico.
È il fondamento della laicità di credenti e non credenti..
La nostra tradizione, la nostra cultura, avrà tante radici
ma sicuramente tra queste ne ha fondamentale per spiegare lo
Stato moderno contemporaneo, la sua natura.
E questa è, diciamolo con una battuta sola, IL LOGOS di cui
parliamo, il logos di cui parla anche colui che è
religiosamente convinto, questo logos è laico!. Cioè quello
che bisogna comprendere è la laicità profonda di quel logos,
di quel verbum, la laicità profonda. E ogni tentativo di
fare di quel verbum legge dello Stato, di farlo valere come
religio civilis, lo tradisce nell’essenza, e non è qualcosa
che danneggia soltanto l’organizzazione statuale, ma rovina
la dimensione religiosa.
Io credo che questo sia l'atteggiamento efficace rispetto al
dialogo tra la dimensione della responsabilità e la
dimensione della convinzione.
Se così avviene dobbiamo affrontare anche il tema della
laicità e dei fondamenti della laicità.
La laicità non è un qualcosa che si possa definire
astrattamente. La laicità è un atteggiamento critico, ma
direi di più, un atteggiamento critico che sa di potere
contare soltanto su un riconoscimento reciproco e che sa che
il riconoscimento non è qualcosa che avviene gratis, avviene
attraverso fatica, riconoscersi è faticoso, riconoscersi
significa imparare il linguaggio dell'altro, riconoscersi
significa passare attraverso migliaia di fraintendimenti.
Il laico è colui che va avanti in questa fatica del
riconoscimento reciproco, dell’ avvicinarsi al prossimo che
è lo straniero.
Ebbene tutti questi sono elementi quintessenziali che ha
detto quel logos. Ma come si fa a non dire questo
laicamente.
Avvicinati al prossimo. Ma il prossimo, parabola del buon
samaritano, è lo straniero, ma lo straniero più straniero!,
quello a cui il prete non poteva neanche avvicinarsi.
Avvicinati al prossimo, fai questa fatica. Questo è il
dialogo è questa la relazione, la relazione tra distinti,
che tanto più sanno se stessi, quanto più si avvicinano e
questo è un avvicinarsi continuo, che non terminerà mai,
all'altro.
Questo è il laico secondo me. Questo è spirito laico.
Non credere, diciamo così, che la mente il logos sia dalla
mia parte e dall'altra parte qualcosa di non tollerante o le
favole o qualcosa che ha soltanto una valenza etica o
politica, o qualcosa che vi serve soltanto come religio
civilis.
Ecco dov’è il peccato mortale. Dove quella dimensione che
avrebbe quell’enorme valore di laicità del logos, come prima
dicevo, assume esattamente il punto di vista dei suoi
critici, che è appunto la volevano soltanto religio civilis.
Tu hai una dimensione soltanto civile. Tu mi garantisci
soltanto l'obbedienza degli indotti. Religio civilis.
E allora io credo che queste occasioni servono appunto a
bilanciare il discorso laico in senso di grande respiro.
Dove i valori della laicità non appartengono al politico o
al filosofo piuttosto che all'uomo di fede, ma una laicità
del non credente, una laicità del logos, perfettamente
spiegabile e comprensibile anche dal non credente.
E all'interno di questo discorso così di ampio respiro
andare appunto a distinguersi, ma una distinzione che è
insieme riconoscimento reciproco, riconoscimento del valore
dell’altro perché io sia pienamente me stesso. Perché io sia
pienamente politico responsabile del valore della tua
profezia. Il valore deve essere il responsabile politico per
l'affermazione della tua convinzione.
In questo quadro generale, riaffermare e riconoscere il
valore della laicità e della laicità del nostro Stato.
In questo quadro generale, in cui siamo laici da una parte
non laici dall'altra, ma siamo laici tutti davvero credenti
e non credenti ma non a chiacchiere ma per questi motivi,
storico, filosofici, possiamo davvero dirci tutti laici,
credenti e non credenti, laici.
Io credo che se non faremo questo sforzo i laici tradiranno
se stessi e i non laici tradiranno se stessi.
È questo secondo me è davvero il pericolo che stiamo
correndo.
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