La Tolleranza.
La tolleranza
è un modo di trattare gli altri con amabilità.
Di prenderli così come sono, cioè di accettarli.
E quindi di non cercare di ridurli imperativamente ad una
condotta, e nemmeno di avviarli a trovare una condotta che
si ritiene giusta per loro.
Naturalmente è facile essere disponibili (tolleranti) nei
confronti di chi è buono.
Meno facile è di essere disponibili e non aggressivi, quando
ci si trova di fronte a persone indocili, insubordinate,
ribelli.
E allora proprio in questo secondo aspetto la tolleranza si
configura come una virtù, perché l’atteggiamento di
disponibilità non dipende dal carattere o dallo stato
d’animo naturale del soggetto nei confronti del prossimo,
che non costituisce una virtù.
La tolleranza non è impotenza.
Se la tolleranza costituisce un'apertura verso l'altro, e lo
accoglie così com’è, non significa che ci si annulla nei
confronti dell’altro. Piuttosto invece si attiva una forma
di sensibilità.
Così intesa la tolleranza costituisce comunque un diminuirsi
per fare spazio, un diminuirsi accogliente, e perciò è
strettamente connessa con l'umiltà.
Si è umili soltanto nella consapevolezza della comune
fragilità.
Io ti “tollero”, non perché ti sopporto, ma perché la tua
condizione attuale potrebbe essere la mia di domani, ed io
non ne sono immune. Perciò sono restio a condannarti e ti
vengo incontro se sbagli.
Quindi tolleranza e umiltà sono concatenate.
L’umiltà.
L'umiltà non la si deve però intendere mai come abbassare se
stessi, degradarsi di fronte ad un altro uomo. Questa non è
umiltà, è abiezione, meschinità.
Abbassarsi, degradarsi dinnanzi ad un altro è offendere se
stessi.
Nella stessa tradizione cristiana, dove l'umiltà è tanto
celebrata, si è umili coram deo, si è umili di fronte a Dio
in quanto tutti creature. La misura dell'umiltà è Dio.
L'effetto dell'umiltà tende al reciproco sostegno
nell'uguaglianza. E non alla diminuzione di sé.
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La tolleranza non è indulgenza o
impotenza.
Spesso si confonde la tolleranza coll'impotenza.
Ma chi è tollerante (umile) non è impotente.
Perché se è vero che comprende chi sbaglia, però è in grado
di giudicare, e non è connivente con il suo errore, perché
altrimenti non sarebbe tollerante ma sarebbe indulgente. Il
che costituirebbe un cedimento al male.
La tolleranza
deve avere il carattere della fermezza
Io comprendo la tua debolezza, però sottolineo di fatto che
tu sbagli.
Perché se io non sottolineassi questo, il mio non sarebbe un
atteggiamento tollerante, ma un irresponsabile cedimento al
male.
E per fare questo ci vuole fermezza, una certa forma di
coraggio.
Non con l’atteggiamento di chi guarda all’errore, ma di chi
considera la caduta, cioè si domanda: ma perché questo ha
sbagliato?
Perché è possibile che nell'errore chi sbaglia sia vittima
di altri errori, che paghi il fio di altri errori, che paghi
colpe non sue, che vengono a lui imputate per accorciare il
debito.
Il capro espiatorio.
È facile trasformare spesso il colpevole in capro
espiatorio. Spesse volte ci si inventa un capro espiatorio
per nascondere le nostre colpe. Questo appartiene alla
storia del sacro in cui si immola un capro espiatorio per
allontanare da noi le colpe.
A maggior ragione si può trasformare chi ha commesso un
errore in capro espiatorio, a copertura dei nostri errori.
Ma la persone tollerante, mite, questo non lo fa.
La tolleranza è anche pazienza.
Chi è impaziente è aggressivo, non può essere
tollerante. Chi è impaziente tende a risolvere subito le
cose e non a rendersi conto di come le cose stanno realmente
e quanto possono cambiare se ci si applica.
Tolleranza, umiltà, fermezza, pazienza.
Il concetto come si vede si può a buona ragione
allargare a questo insieme di elementi.
Le virtù come i colori dell'iride non sono separate le une
dalle altre, trascolorano le une nelle altre.
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