Giancarlo Sacconi

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Atto Costitutivo - Statuto

L'Atto Costitutivo

Lo Statuto originario

La mia nomina fu preceduta da un  attivismo degli uffici regionali che predisposero un progetto di legge della Giunta per la modifica dello Statuto, riportato qui:  La proposta della Giunta regionale per modificare lo Statuto del 1973.
Dalla lettura del documento emerge chiaramente il disegno di neutralizzare la figura del Presidente (socialista) assegnando poteri "eccezionali" al Direttore (comunista), cosa che non mi piacque affatto.
Questa fu la mia lettura del medesimo documento.
Iniziò cosi un confronto con gli uffici regionali e con l'Assessore, da cui scaturirono via via altre proposte, da me a vario titolo modificate.
La mia prima proposta di modifica con un aggiornamento.
Altre mie osservazioni più approfondite.
Prima proposta ufficiale di modifica dello Statuto con commmenti.

Questo gran lavoro non è approdato alla approvazione del Consiglio Regionale, mentre è invece passata la RIFORMA delle linee guida della Finanziaria.

LE RAGIONI DEL GIRO DI BOA

Sviluppumbria fu istituita con legge regionale 26/2/1973, n. 14.

Il soggetto principale di intervento fu individuato nelle piccole e medie imprese industriali dell’Umbria.
settore commerciale fosse allora più favorito rispetto alla piccola impresa, notoriamente bisognosa di sostegno, per cui si esclusero interventi per le attività commerciali.

La nuova società si caratterizzò subito per una forte attività finanziaria in una regione ad economia insufficientemente sviluppata o comunque a caratteri strutturali semplificati e che attraversava, per di più, un periodo di stagnazione economica.

Un ambiente economico, quale quello rilevabile in quegli anni ‘70 e primi anni ‘80, avrebbe richiesto una attività di promozione e sviluppo, piuttosto che interventi finanziari, destinati, in quelle condizioni, a trasformarsi in provvedimenti assistenziali e purtroppo privi di reale efficacia.
 
Ma una forte pressione in questo senso veniva allora normalmente esercitata dagli ambienti politici e sindacali regionali, per una scelta precisa che, tenuto conto del particolare momento di crisi, privilegiava ogni provvedimento che potesse agire da sostegno, anche solo virtuale, all’occupazione gravemente compromessa. E ciò con la consapevolezza del sostanziale fallimento degli interventi finanziari, incapaci di assicurare un’efficacia durevole sulle aziende in difficoltà.

Dal punto di vista sociale molte situazioni di crisi furono ammorbidite e indirizzate, attraverso l’intervento finanziario pubblico, verso l’ottenimento dei benefici per l’occupazione previsti dagli ammortizzatori sociali tradizionali.

Ogni piccolo imprenditore la cui azienda entrava in crisi, cercava l’aiuto politico-sindacale per ottenere sostegno finanziario della Sviluppumbria anche se non giustificato sul piano della logica strettamente imprenditoriale.

D’altronde questa strenua resistenza è una delle caratteristiche più apprezzabile di un imprenditore che, prima di mollare, come nessun altro si ingegna per trovare soluzioni.

Dal punto di vista economico, salvo qualche raro caso, tutti gli interventi mostrarono il limite dell’approccio assistenziale, che non offre sbocchi significativi alla attività industriale.
  Nuove prospettive di sviluppo negli anni ‘80.

La evoluzione del contesto economico regionale verso una realtà a caratteri complessi ed a struttura più evoluta, sollecitò una riflessione tra le forze politiche economiche e sociali, sulla necessità di adeguare l’attività di Sviluppumbria al mutato scenario economico e industriale.
Ma tale volontà non si tradusse in un automatico aggiustamento perché, nel frattempo, alcune delle iniziali linee di intervento finanziarie avevano prodotto vizi difficili da eliminare. Data la carenza di capitale finanziario, l’attività fidejussoria aveva preso il sopravvento e le conseguenze negative degli interventi assistenziali si protraevano a lungo sul piano economico, producendo code interminabili e risucchiando gran parte delle risorse disponibili.

Nel frattempo la Finanziaria continuava a perdere di credibilità.
Un’indagine riservata, affidata ad un tecnico esterno, promossa dal Presidente della Giunta Regionale, fece emergere un’attività della Finanziaria tutta rivolta ad assecondare interessi particolari, fossero essi di carattere politico, partitico, sindacale, e anche privatistico, attività che non produceva ricadute positive sul piano economico e occupazionale, nonostante lo sforzo finanziario sostenuto dalla Regione.
E quando l’immagine della Finanziaria minacciò di coinvolgere il livello politico, la Regione decise di voltare pagina.
L 'Ufficio del Piano della Regione fu incaricato di redigere un nuovo Statuto che consentisse di superare i limiti della precedente organizzazione.

Alla fine del 1986, a conclusione di un dibattito caratterizzato da vivaci polemiche e da fortissime resistenze al cambiamento, il Consiglio di Amministrazione in scadenza fu completamente rinnovato.

Il mandato ai nuovi amministratori fu esplicito, anche se non esplicitato pubblicamente:
rimettere ordine nella intricatissima situazione senza spiacevoli conseguenze sul piano politico e sindacale;
rilanciare l 'attività di Sviluppumbria nella nuova ottica abbozzata dall 'Ufficio del Piano;
proporre lo scioglimento della Società in mancanza di risultati.
Questo comportava per i nuovi amministratori chiamati a guidare Sviluppumbria il delicato compito di ricostituire un rapporto di fiducia con l’ambiente economico e di efficienza-efficacia degli interventi.
 

 

La Finanziaria umbra. Alcune caratteristiche.

Finalità e compiti

Le caratteristiche di questa originale presenza di Sviluppumbria nel panorama socioeconomico regionale, fotografate nel momento in cui si ritenne di dare una svolta alla sua azione nel territorio, erano rimaste immutate dalla costituzione di Sviluppumbria, avviata nei primi anni ‘70. La legge regionale 26/2/1973, n. 14.
L’art. 5 dello Statuto definiva lo scopo sociale assegnando a Sviluppumbria un ruolo piuttosto impegnativo, se raffrontato ai limitati mezzi finanziari per realizzarlo, e cioè di concorrere alla realizzazione dell 'equilibrato sviluppo economico della regione, come strumento della programmazione regionale in armonia con i principi contenuti nello Statuto della Regione dell 'Umbria.
Venivano poi precisati gli ambiti e le modalità di intervento, riassunti dall’art. 6 in tre filoni principali che prevedevano al primo punto una attività di assistenza tecnica, organizzativa ed amministrativa (da realizzare attraverso la creazione di organizzazioni specifiche), che avrebbe dovuto occuparsi anche di una delle più sentite esigenze di quei primi anni settanta, quella della industrializzazione diffusa (una zona industriale in ogni Comune, poi rivelatasi quello che era: soltanto un’utopia) e cioè l’opportunità di dotare di servizi e di attrezzature adeguate le aree destinate nel territorio regionale ad attività economiche.
Ci si occupava, ancora, dell 'assistenza finanziaria, prevista anche in forma fidejussoria, da fornire non solo alle società di capitale, ma anche a società di persone, ad imprenditori individuali ed artigiani, purché svolgessero, nel territorio regionale, attività in armonia con le priorità enunciate nei programmi economici regionali.
Ed infine era prevista l 'assunzione di partecipazioni di minoranza nelle società di capitali, nelle società cooperative e nei consorzi di piccole e medie dimensioni già costituiti o da costituirsi purché svolgessero, nel territorio regionale, attività in armonia con le priorità enunciate nei programmi economici regionali.
Venivano, inoltre, definite alcune priorità d’intervento (art. 7) nei confronti delle Società di capitali di piccole e medie dimensioni, specie se organizzate in forma cooperativa, e verso quelle attività che direttamente o indirettamente avessero comportato i maggiori effetti di impiego e di occupazione.

L’assetto societario

L’assetto sociale presenta una significativa presenza degli Istituti di credito nel capitale della Società (41,44%), accanto ad una contenuta partecipazione di maggioranza della Regione dell’Umbria (56,96%), e ad altre quote minori pubbliche e private (1,6%).
Una tale incidenza della compagine privata dovrebbe, almeno in teoria, garantire la riduzione ai minimi termini di pratiche assistenzialistiche e clientelari.
L’assetto sociale presentava nel rapporto di partecipazione pubblico-privato un aspetto tra i più positivi rilevabile nel panorama nazionale.
A differenza di molte altre finanziarie italiane, infatti, si poteva contare su di una consistente presenza dei privati nel capitale della Società (banche 41,44% altri 1,6%), accanto ad una contenuta partecipazione di maggioranza della Regione dell’Umbria (56,96%).
In teoria, questa era una garanzia che gli interventi della Società non risultassero legati a criteri di carattere assistenzialistico. Nessun privato, a differenza di quello che invece poteva essere l’interesse pubblico in alcuni momenti storicamente difficili, è disponibile a rinunciare per motivi non strettamente tecnici, al proprio capitale.
Ma se questo poteva essere vero per gli Istituti di Credito che detenevano la quasi totalità del capitale privato, non altrettanto poteva affermarsi per gli altri soci.
Nell’ambito di quel rimanente 1,6%, infatti, erano rappresentate in gran parte le categorie economiche attraverso la presenza delle associazioni imprenditoriali, la cui partecipazione finanziaria era del tutto simbolica, mentre notevole era il peso politico di ciascuna di esse.

L’oggetto sociale

L’art. 6 della legge istitutiva precisava in quali termini si intendeva che la società dovesse realizzare “l’equilibrato sviluppo economico della regione”:
a)mediante attività di assistenza tecnica, organizzativa ed amministrativa realizzata con la formazione di organizzazioni specifiche, anche al fine di dotare di servizi e di attrezzature adeguate le aree destinate nel territorio regionale ad attività economiche;
b)mediante assistenza finanziaria, anche sotto forma di concessioni di garanzie, alle società di cui al punto c), a società di persone, ad imprenditori individuali ed artigiani che svolgessero, nel territorio regionale, attività in armonia con le priorità enunciate nei programmi economici regionali;
c)mediante l 'assunzione di partecipazioni in minoranza nelle società di capitali, nelle società cooperative e nei consorzi di piccole e medie dimensioni già costituiti o da costituirsi che svolgessero, nel territorio regionale, attività in armonia con le priorità enunciate nei programmi economici regionali.
Non è difficile rilevare oggi in queste enunciazioni alcuni elementi abbastanza irrealistici, quali ad esempio il richiamo alla “armonia con le priorità enunciate nei programmi economici regionali”. Bisogna però tener conto che nei primi anni ‘70 la nascita della Finanziaria costituiva forse uno dei primi interventi concreti dell’appena nata Regione, che aveva un ambizioso obbiettivo: la programmazione regionale.
E forte era anche la presenza di elementi ideologici anche laddove si postulavano interventi nei confronti di imprenditori singoli, senza capacitarsi delle difficoltà concrete di attuazione di tale normativa, nella pratica, poi, portatrice di diversi contenziosi.
  La realizzazione dell 'oggetto sociale

L’art. 7 precisava che gli interventi finanziari dei punti 1 e 2 dovevano ovviamente essere preferibilmente indirizzati verso le Società di capitali di piccole e medie dimensioni, specie se organizzate in forma cooperativa, e verso quelle attività che direttamente o indirettamente comportassero i maggiori effetti di impiego e di occupazione.
Nella pratica, la rigida applicazione del concetto di partecipazione di minoranza ha costituito un freno non indifferente alla salvaguardia delle aziende nei momenti di difficoltà, quando l’impossibilità della finanziaria di accollarsi anche per poco tempo una quota di maggioranza ha lasciato il campo libero a forme di speculazione da parte di partner privati
La pretesa di poter offrire alle aziende assistenza amministrativa, organizzativa e tecnica attraverso forme organizzate, fa parte del bagaglio di una visione burocratica dirigista, che ritiene ancora l’imprenditore piccolo e medio un analfabeta o quasi della tecnica aziendale, disconoscendo così una delle ragioni fondamentali del successo della piccola impresa: la sua straordinaria capacità di affrontare il rischio ed una grande elasticità e rapidità nell 'affrontare le mutevoli condizioni del tessuto economico.
In certi casi questo tipo di aiuto non è da escludere, ovviamente, ma allora prevalsero gli interessi dei consulenti sia privati sia appartenenti a strutture pubbliche o parapubbliche, i quali intervenivano nelle realtà aziendali in difficoltà (perchè l 'impresa di successo non cercava aiuti, ma si affidava al mercato). Non è stato registrato un solo caso di consulenza che abbia modificato il destino di un 'azienda in difficoltà.
La concessione di garanzie fideiussorie si rivelò come il vero tallone d’Achille della Finanziaria.
Questo intervento era stato considerato come il più innovativo. Un segno di presenza critica nei confronti del mondo bancario notoriamente rigido nella concessione di affidamenti. Ma quello che doveva essere un aiuto alle aziende che non ottenevano credito bancario, si trasformò in un aiuto alle stesse banche, che allargavano sì i cordoni del credito a quelle aziende alle quali lo avrebbero in via normale, ma solo se coperte dalla garanzia Sviluppumbria. Così si attivò un percorso perverso, alimentato da interessi di partito e dalle stesse banche, che agivano suggerendo alle aziende quel percorso, spesso anche quando non ce ne sarebbe stato bisogno..
 
Composizione e poteri del Consiglio di Amministrazione

Il Consiglio era composto da 15 membri.
Un vero record nel panorama di analoghe iniziative.
Ciò si rese necessario per consentire alle cosiddette parti sociali di essere rappresentate in Consiglio, oltre ai rappresentanti della Regione e delle banche.
Quando non c 'era posto per tutti, si utilizzò parte della rappresentanza del Collegio sindacale.
L’art. 28 dello Statuto precisava che il Consiglio era investito dei più ampi poteri per la gestione ordinaria e straordinaria della Società, e provvedeva a tutto quanto non era per Legge o per Statuto riservato all 'Assemblea.
In particolare spettava al Consiglio discutere ed approvare i programmi di attività della Società da comunicare alla Giunta Regionale al sensi dell’art. 2 della Legge 26 febbraio 1973, n. 14.
Quindi il C.d.A. era l’organo effettivo di gestione della Società.
Dei 15 membri del Consiglio, 8 erano nominati dal Consiglio Regionale ed i restanti scelti dall’Assemblea tra persone designate dai partecipanti di minoranza.
Come si vede la composizione del C.d.A. era particolarmente complessa.
In pratica la Giunta Regionale è sempre intervenuta per comporre le inevitabili controversie, al momento della indicazione dei rappresentanti da parte dei privati.
La Giunta ha sempre avuto il suo bel daffare nel mettere d’accordo le parti sociali che avevano diritto a 3-4 rappresentanti, e quindi non potevano essere tutte rappresentate. Si rendeva così necessaria una rotazione sempre difficile da comporre.
Infatti, non era in discussione il diritto degli istituti di credito più rappresentativi a farsi rappresentare in Consiglio, tenuto conto della consistenza della loro partecipazione.
Nel tempo emerse una soluzione non codificata, in base alla quale la nomina di competenza dei privati dei due componenti nel collegio sindacale, veniva effettuata sulla base delle indicazioni da parte di quei soggetti privati maggiormente rappresentativi che non avevano avuto rappresentanze nel Consiglio di Amministrazione.

I poteri del Presidente

Il Presidente era ed è stato sempre una figura priva di potere effettivo, anche se nominato dalla Giunta Regionale, come previsto dalla Legge istitutiva e dallo Statuto.
Cosicché l’attività richiedeva una costante assistenza e presenza del Consiglio di Amministrazione.
Infatti l’art. 30 dello Statuto prevedeva per il Presidente la sola rappresentanza legale della Società. In caso di assenza o impedimento era sostituito dal Vice Presidente o da uno dei Vice Presidenti se nominati (ma mai nominati).
Tutto il potere decisionale risiedeva, quindi, nel Consiglio di Amministrazione investito dei più ampi poteri per la gestione ordinaria e straordinaria della Società, e, più in generale, per tutto quanto non fosse per Legge o per Statuto riservato all 'Assemblea.
E nonostante che il Consiglio potesse delegare parte dei propri poteri e delle proprie attribuzioni al Presidente (art. 31), questa delega non è mai stata messa in pratica, se non per questioni irrilevanti di ordine pratico, a differenza di quanto avvenuto in quasi tutte le altre Finanziarie italiane.