Atto Costitutivo - Statuto
La mia nomina fu preceduta da un attivismo degli uffici regionali
che predisposero un progetto di legge della Giunta per la modifica
dello Statuto, riportato qui:
La proposta della Giunta regionale per modificare lo Statuto del 1973. LE RAGIONI DEL GIRO DI BOA
La Finanziaria umbra. Alcune caratteristiche.
Dalla lettura del documento emerge chiaramente il disegno di
neutralizzare la figura del Presidente (socialista) assegnando
poteri "eccezionali" al Direttore (comunista), cosa che non mi piacque affatto.
Questa fu
la mia lettura del medesimo documento.
Iniziò cosi un confronto con gli uffici regionali e con l'Assessore, da cui
scaturirono via via
altre
proposte, da me a vario titolo modificate.
La
mia prima proposta di modifica con un aggiornamento.
Altre
mie osservazioni più approfondite.
Prima proposta ufficiale di modifica dello Statuto con commmenti.
Questo gran lavoro non è approdato alla approvazione del Consiglio
Regionale, mentre è invece passata la
RIFORMA delle linee guida della Finanziaria.
Sviluppumbria fu istituita con legge regionale 26/2/1973, n.
14.
Il soggetto principale di intervento fu individuato nelle
piccole e medie imprese industriali dell’Umbria.
settore commerciale fosse allora più favorito rispetto alla
piccola impresa, notoriamente bisognosa di sostegno, per cui
si esclusero interventi per le attività commerciali.
La nuova società si caratterizzò subito per una forte
attività finanziaria in una regione ad economia
insufficientemente sviluppata o comunque a caratteri
strutturali semplificati e che attraversava, per di più, un
periodo di stagnazione economica.
Un ambiente economico, quale quello rilevabile in quegli
anni ‘70 e primi anni ‘80, avrebbe richiesto una attività di
promozione e sviluppo, piuttosto che interventi finanziari,
destinati, in quelle condizioni, a trasformarsi in
provvedimenti assistenziali e purtroppo privi di reale
efficacia.
Ma una forte pressione in questo senso veniva allora
normalmente esercitata dagli ambienti politici e sindacali
regionali, per una scelta precisa che, tenuto conto del
particolare momento di crisi, privilegiava ogni
provvedimento che potesse agire da sostegno, anche solo
virtuale, all’occupazione gravemente compromessa. E ciò con
la consapevolezza del sostanziale fallimento degli
interventi finanziari, incapaci di assicurare un’efficacia
durevole sulle aziende in difficoltà.
Dal punto di vista sociale molte situazioni di crisi furono
ammorbidite e indirizzate, attraverso l’intervento
finanziario pubblico, verso l’ottenimento dei benefici per
l’occupazione previsti dagli ammortizzatori sociali
tradizionali.
Ogni piccolo imprenditore la cui azienda entrava in crisi,
cercava l’aiuto politico-sindacale per ottenere sostegno
finanziario della Sviluppumbria anche se non giustificato
sul piano della logica strettamente imprenditoriale.
D’altronde questa strenua resistenza è una delle
caratteristiche più apprezzabile di un imprenditore che,
prima di mollare, come nessun altro si ingegna per trovare
soluzioni.
Dal punto di vista economico, salvo qualche raro caso, tutti
gli interventi mostrarono il limite dell’approccio
assistenziale, che non offre sbocchi significativi alla
attività industriale.
Nuove prospettive di sviluppo negli anni ‘80.
La evoluzione del contesto economico regionale verso una
realtà a caratteri complessi ed a struttura più evoluta,
sollecitò una riflessione tra le forze politiche economiche
e sociali, sulla necessità di adeguare l’attività di
Sviluppumbria al mutato scenario economico e industriale.
Ma tale volontà non si tradusse in un automatico
aggiustamento perché, nel frattempo, alcune delle iniziali
linee di intervento finanziarie avevano prodotto vizi
difficili da eliminare. Data la carenza di capitale
finanziario, l’attività fidejussoria aveva preso il
sopravvento e le conseguenze negative degli interventi
assistenziali si protraevano a lungo sul piano economico,
producendo code interminabili e risucchiando gran parte
delle risorse disponibili.
Nel frattempo la Finanziaria continuava a perdere di
credibilità.
Un’indagine riservata, affidata ad un tecnico esterno,
promossa dal Presidente della Giunta Regionale, fece
emergere un’attività della Finanziaria tutta rivolta ad
assecondare interessi particolari, fossero essi di carattere
politico, partitico, sindacale, e anche privatistico,
attività che non produceva ricadute positive sul piano
economico e occupazionale, nonostante lo sforzo finanziario
sostenuto dalla Regione.
E quando l’immagine della Finanziaria minacciò di
coinvolgere il livello politico, la Regione decise di
voltare pagina.
L 'Ufficio del Piano della Regione fu incaricato di redigere
un nuovo Statuto che consentisse di superare i limiti della
precedente organizzazione.
Alla fine del 1986, a conclusione di un dibattito
caratterizzato da vivaci polemiche e da fortissime
resistenze al cambiamento, il Consiglio di Amministrazione
in scadenza fu completamente rinnovato.
Il mandato ai nuovi amministratori fu esplicito, anche se
non esplicitato pubblicamente:
rimettere ordine nella intricatissima situazione senza
spiacevoli conseguenze sul piano politico e sindacale;
rilanciare l 'attività di Sviluppumbria nella nuova ottica
abbozzata dall 'Ufficio del Piano;
proporre lo scioglimento della Società in mancanza di
risultati.
Questo comportava per i nuovi amministratori chiamati a
guidare Sviluppumbria il delicato compito di ricostituire un
rapporto di fiducia con l’ambiente economico e di
efficienza-efficacia degli interventi.
Finalità e compiti
Le caratteristiche di questa originale presenza di
Sviluppumbria nel panorama socioeconomico regionale,
fotografate nel momento in cui si ritenne di dare una svolta
alla sua azione nel territorio, erano rimaste immutate dalla
costituzione di Sviluppumbria, avviata nei primi anni ‘70.
La legge regionale 26/2/1973, n. 14.
L’art. 5 dello Statuto definiva lo scopo sociale assegnando
a Sviluppumbria un ruolo piuttosto impegnativo, se
raffrontato ai limitati mezzi finanziari per realizzarlo, e
cioè di concorrere alla realizzazione dell 'equilibrato
sviluppo economico della regione, come strumento della
programmazione regionale in armonia con i principi contenuti
nello Statuto della Regione dell 'Umbria.
Venivano poi precisati gli ambiti e le modalità di
intervento, riassunti dall’art. 6 in tre filoni principali
che prevedevano al primo punto una attività di assistenza
tecnica, organizzativa ed amministrativa (da realizzare
attraverso la creazione di organizzazioni specifiche), che
avrebbe dovuto occuparsi anche di una delle più sentite
esigenze di quei primi anni settanta, quella della
industrializzazione diffusa (una zona industriale in ogni
Comune, poi rivelatasi quello che era: soltanto un’utopia) e
cioè l’opportunità di dotare di servizi e di attrezzature
adeguate le aree destinate nel territorio regionale ad
attività economiche.
Ci si occupava, ancora, dell 'assistenza finanziaria,
prevista anche in forma fidejussoria, da fornire non solo
alle società di capitale, ma anche a società di persone, ad
imprenditori individuali ed artigiani, purché svolgessero,
nel territorio regionale, attività in armonia con le
priorità enunciate nei programmi economici regionali.
Ed infine era prevista l 'assunzione di partecipazioni di
minoranza nelle società di capitali, nelle società
cooperative e nei consorzi di piccole e medie dimensioni già
costituiti o da costituirsi purché svolgessero, nel
territorio regionale, attività in armonia con le priorità
enunciate nei programmi economici regionali.
Venivano, inoltre, definite alcune priorità d’intervento
(art. 7) nei confronti delle Società di capitali di piccole
e medie dimensioni, specie se organizzate in forma
cooperativa, e verso quelle attività che direttamente o
indirettamente avessero comportato i maggiori effetti di
impiego e di occupazione.
L’assetto societario
L’assetto sociale presenta una significativa presenza degli
Istituti di credito nel capitale della Società (41,44%),
accanto ad una contenuta partecipazione di maggioranza della
Regione dell’Umbria (56,96%), e ad altre quote minori
pubbliche e private (1,6%).
Una tale incidenza della compagine privata dovrebbe, almeno
in teoria, garantire la riduzione ai minimi termini di
pratiche assistenzialistiche e clientelari.
L’assetto sociale presentava nel rapporto di partecipazione
pubblico-privato un aspetto tra i più positivi rilevabile
nel panorama nazionale.
A differenza di molte altre
finanziarie italiane, infatti, si poteva contare su di una
consistente presenza dei privati nel capitale della Società
(banche 41,44% altri 1,6%),
accanto ad una contenuta partecipazione di maggioranza della
Regione dell’Umbria (56,96%).
In teoria, questa era una garanzia che gli interventi della
Società non risultassero legati a criteri di carattere
assistenzialistico. Nessun privato, a differenza di quello
che invece poteva essere l’interesse pubblico in alcuni
momenti storicamente difficili, è disponibile a rinunciare
per motivi non strettamente tecnici, al proprio capitale.
Ma se questo poteva essere vero per gli Istituti di Credito
che detenevano la quasi totalità del capitale privato, non
altrettanto poteva affermarsi per gli altri soci.
Nell’ambito di quel rimanente 1,6%, infatti, erano
rappresentate in gran parte le categorie economiche
attraverso la presenza delle associazioni imprenditoriali,
la cui partecipazione finanziaria era del tutto simbolica,
mentre notevole era il peso politico di ciascuna di esse.
L’oggetto sociale
L’art. 6 della legge istitutiva precisava in quali termini
si intendeva che la società dovesse realizzare
“l’equilibrato sviluppo economico della regione”:
a)mediante attività di assistenza tecnica, organizzativa ed
amministrativa realizzata con la formazione di
organizzazioni specifiche, anche al fine di dotare di
servizi e di attrezzature adeguate le aree destinate nel
territorio regionale ad attività economiche;
b)mediante assistenza finanziaria, anche sotto forma di
concessioni di garanzie, alle società di cui al punto c), a
società di persone, ad imprenditori individuali ed artigiani
che svolgessero, nel territorio regionale, attività in
armonia con le priorità enunciate nei programmi economici
regionali;
c)mediante l 'assunzione di partecipazioni in minoranza nelle
società di capitali, nelle società cooperative e nei
consorzi di piccole e medie dimensioni già costituiti o da
costituirsi che svolgessero, nel territorio regionale,
attività in armonia con le priorità enunciate nei programmi
economici regionali.
Non è difficile rilevare oggi in queste enunciazioni alcuni
elementi abbastanza irrealistici, quali ad esempio il
richiamo alla “armonia con le priorità enunciate nei
programmi economici regionali”. Bisogna però tener conto che
nei primi anni ‘70 la nascita della Finanziaria costituiva
forse uno dei primi interventi concreti dell’appena nata
Regione, che aveva un ambizioso obbiettivo: la
programmazione regionale.
E forte era anche la presenza di elementi ideologici anche
laddove si postulavano interventi nei confronti di
imprenditori singoli, senza capacitarsi delle difficoltà
concrete di attuazione di tale normativa, nella pratica,
poi, portatrice di diversi contenziosi.
La
realizzazione dell 'oggetto sociale
L’art. 7 precisava che gli interventi finanziari dei
punti 1 e 2 dovevano ovviamente essere preferibilmente
indirizzati verso le Società di capitali di piccole e medie
dimensioni, specie se organizzate in forma cooperativa, e
verso quelle attività che direttamente o indirettamente
comportassero i maggiori effetti di impiego e di
occupazione.
Nella pratica, la rigida applicazione del concetto di
partecipazione di minoranza ha costituito un freno non
indifferente alla salvaguardia delle aziende nei momenti di
difficoltà, quando l’impossibilità della finanziaria di
accollarsi anche per poco tempo una quota di maggioranza ha
lasciato il campo libero a forme di speculazione da parte di
partner privati
La pretesa di poter offrire alle aziende assistenza
amministrativa, organizzativa e tecnica attraverso forme
organizzate, fa parte del bagaglio di una visione
burocratica dirigista, che ritiene ancora l’imprenditore
piccolo e medio un analfabeta o quasi della tecnica
aziendale, disconoscendo così una delle ragioni fondamentali
del successo della piccola impresa: la sua straordinaria
capacità di affrontare il rischio ed una grande elasticità e
rapidità nell 'affrontare le mutevoli condizioni del tessuto
economico.
In certi casi questo tipo di aiuto non è da escludere,
ovviamente, ma allora prevalsero gli interessi dei
consulenti sia privati sia appartenenti a strutture
pubbliche o parapubbliche, i quali intervenivano nelle
realtà aziendali in difficoltà (perchè l 'impresa di successo
non cercava aiuti, ma si affidava al mercato). Non è stato
registrato un solo caso di consulenza che abbia modificato
il destino di un 'azienda in difficoltà.
La concessione di garanzie fideiussorie si rivelò come il
vero tallone d’Achille della Finanziaria.
Questo intervento era stato considerato come il più
innovativo. Un segno di presenza critica nei confronti del
mondo bancario notoriamente rigido nella concessione di
affidamenti. Ma quello che doveva essere un aiuto alle
aziende che non ottenevano credito bancario, si trasformò in
un aiuto alle stesse banche, che allargavano sì i cordoni
del credito a quelle aziende alle quali lo avrebbero in via
normale, ma solo se coperte dalla garanzia Sviluppumbria.
Così si attivò un percorso perverso, alimentato da interessi
di partito e dalle stesse banche, che agivano suggerendo
alle aziende quel percorso, spesso anche quando non ce ne
sarebbe stato bisogno..
Composizione e poteri del Consiglio di Amministrazione
Il Consiglio era composto da 15 membri.
Un vero record nel panorama di analoghe iniziative.
Ciò si rese necessario per consentire alle cosiddette parti
sociali di essere rappresentate in Consiglio, oltre ai
rappresentanti della Regione e delle banche.
Quando non c 'era posto per tutti, si utilizzò parte della
rappresentanza del Collegio sindacale.
L’art. 28 dello Statuto precisava che il Consiglio era
investito dei più ampi poteri per la gestione ordinaria e
straordinaria della Società, e provvedeva a tutto quanto non
era per Legge o per Statuto riservato all 'Assemblea.
In particolare spettava al Consiglio discutere ed approvare
i programmi di attività della Società da comunicare alla
Giunta Regionale al sensi dell’art. 2 della Legge 26
febbraio 1973, n. 14.
Quindi il C.d.A. era l’organo effettivo di gestione della
Società.
Dei 15 membri del Consiglio, 8 erano nominati dal Consiglio
Regionale ed i restanti scelti dall’Assemblea tra persone
designate dai partecipanti di minoranza.
Come si vede la composizione del C.d.A. era particolarmente
complessa.
In pratica la Giunta Regionale è sempre intervenuta per
comporre le inevitabili controversie, al momento della
indicazione dei rappresentanti da parte dei privati.
La Giunta ha sempre avuto il suo bel daffare nel mettere
d’accordo le parti sociali che avevano diritto a 3-4
rappresentanti, e quindi non potevano essere tutte
rappresentate. Si rendeva così necessaria una rotazione
sempre difficile da comporre.
Infatti, non era in discussione il diritto degli istituti di
credito più rappresentativi a farsi rappresentare in
Consiglio, tenuto conto della consistenza della loro
partecipazione.
Nel tempo emerse una soluzione non codificata, in base alla
quale la nomina di competenza dei privati dei due componenti
nel collegio sindacale, veniva effettuata sulla base delle
indicazioni da parte di quei soggetti privati maggiormente
rappresentativi che non avevano avuto rappresentanze nel
Consiglio di Amministrazione.
I poteri del Presidente
Il Presidente era ed è stato sempre una figura priva di
potere effettivo, anche se nominato dalla Giunta Regionale,
come previsto dalla Legge istitutiva e dallo Statuto.
Cosicché l’attività richiedeva una costante assistenza e
presenza del Consiglio di Amministrazione.
Infatti l’art. 30 dello Statuto prevedeva per il Presidente
la sola rappresentanza legale della Società. In caso di
assenza o impedimento era sostituito dal Vice Presidente o
da uno dei Vice Presidenti se nominati (ma mai nominati).
Tutto il potere decisionale risiedeva, quindi, nel Consiglio
di Amministrazione investito dei più ampi poteri per la
gestione ordinaria e straordinaria della Società, e, più in
generale, per tutto quanto non fosse per Legge o per Statuto
riservato all 'Assemblea.
E nonostante che il Consiglio potesse delegare parte dei
propri poteri e delle proprie attribuzioni al Presidente
(art. 31), questa delega non è mai stata messa in pratica,
se non per questioni irrilevanti di ordine pratico, a
differenza di quanto avvenuto in quasi tutte le altre
Finanziarie italiane.