Giancarlo Sacconi

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Le Finanziarie in Inghilterra

Anche il sistema finanziario inglese ha sperimentato negli anni ottanta una evoluzione molto rapida. Il suo modello di "banca commerciale” si fonda ancora sul presupposto della netta separazione tra banca e industria, sebbene l'attività bancaria non sia di fatto regolata da alcuna normativa di vigilanza, né dall'osservanza di rigidi criteri ma sia lasciata a forme di autocontrollo ed alla discrezionalità e prassi operativa della Bank of England che quindi è il vero arbitro del sistema finanziario.

Questa assenza di vincoli "codificati" ha permesso di fatto una maggiore capacità di adattamento del sistema alle esigenze del settore reale dell'economia. Esso ha dato vita, a seconda dei casi, sia ad un proliferare spontaneo di intermediari finanziari specializzati, sia -già dagli anni settanta- ad un processo di despecializzazione lento ma graduale di sempre maggior rilievo all'interno del quale non è sempre facile individuare una netta linea di demarcazione delle attività cui sono abilitati le singole categorie di intermediari.
 
Inoltre, la maggiore operatività in titoli alla quale sembrerebbero tendenzialmente essersi indirizzate in questi anni le clearing banks ha fatto sì che esse oggi possano offrire attraverso le proprie affiliate anche capitale di rischio alle imprese così come tutti i servizi genericamente riconducibili al mercato mobiliare e propri dell'attività di Merchant banking.

Parallelamente dalla seconda metà degli anni ottanta si è registrata la rapida crescita ed affermazione sulla scena finanziaria britannica dei grandi gruppi finanziari che operano essenzialmente nel settore del corporate finance svolgendo attività tipica di Merchant banking.
 
In questo ambito sono via via sorti nuovi tipi di intermediari, ciascuno dei quali con competenze e specializzazione propria, che lascia presagire una tendenza sempre più forte alla divisione dei compiti e del campo di operatività all'interno di questi gruppi.

Tuttavia, pur in presenza di una certa dinamicità degli intermediari bancari e non nel reperimento del capitale di rischio, nel sistema britannico sembrano permanere alcune difficoltà di fondo a che il problema del finanziamento a più lunga scadenza delle piccole e medie imprese possa considerarsi risolto.

Anche nel caso inglese l'offerta di capitale di rischio sul mercato è modellata nella maggioranza dei casi su forme di intermediazione e di gestione del rischio stesso che si adattano pienamente alle esigenze della grande impresa e che restano il più delle volte inaccessibili alle imprese di medio piccole dimensioni.

Questa carenza cronica di passività a medio lungo termine da parte delle PMI è stata più volte oggetto di analisi da parte delle commissioni di studio governative che a cominciare dal 1931 ne hanno denunciato l'esistenza.
In quell'anno il Macmillan Committee on Finance and Industre propose la creazione di un intermediario specializzato nel finanziamento di imprese industriali a lungo termine che operasse solo per interventi fino a 200 mila sterline: così nel 1945 nacquero la

Industrial and Commercial Finance Corporation (ICFC)
e la
Finance Corporation for Industre (FCI)

avevano per scopo la prima di fornire capitale di rischio, finanziamenti e consulenza finanziaria alle PMI, la seconda di sostenere la grande industria solo nella forma di finanziamenti a lungo termine.
Più tardi, nel 1959, fu la Commissione Radcliffe a suggerire alcuni miglioramenti per fornire un adeguato sostegno alle PMI, soprattutto in quel segmento dell'offerta di fondi attinente il finanziamento dell'innovazione tecnologica.

Ma è il Rapporto Bolton il primo a compiere all'inizio degli anni settanta un'analisi dettagliata e completa del ruolo delle imprese minori nel sistema economico britannico ed a dedicare specifica attenzione ai problemi del loro finanziamento. Esso conclude evidenziando due tipi di carenze: la prima, quella cronica di passività a medio lungo termine -il c.d. equity gap- soprattutto nel segmento che copre operazioni di volume inferiore alle 250 mila sterline (circa 1 milione di sterline d'oggi); la seconda, di tutt’altra natura, è un information gap indicativo del fatto che pur esistendo fonti di finanziamento in grado di dare sostegno adeguato a queste esigenze esse non sempre sono note agli imprenditori.

Solo a distanza di circa un decennio un'altra commissione governativa -la Commissione Wilson- tornò ad occuparsi dei problema.
Sin dall'inizio dei suoi lavori essa gli dedicò particolare impegno e data l'urgenza e la complessità della situazione decise di rendere di pubblico dominio, prima della scadenza del suo mandato, i risultati ai quali era pervenuta raccogliendoli in un rapporto provvisorio sulle piccole imprese.
In generale in esso trovavano larga conferma le principali conclusioni della Commissione Bolton: le piccole imprese soffrivano non tanto di una generica carenza di mezzi finanziari, quanto di una carenza di passività a lungo termine sia in veste di partecipazioni sia di finanziamenti.

Ancora una volta emergeva in merito alla domanda di credito l'esistenza di una diffusa riluttanza da parte dei piccoli imprenditori a ricorrere al capitale esterno, causa il timore di eventuali interferenze nella gestione della loro azienda e della perdita di controllo della stessa.

Perduravano le difficoltà di finanziamento esterno: le PMI erano il più delle volte costrette ad accettare condizioni relativamente sfavorevoli, con costi non proporzionati al volume dell'operazione. Inoltre anche la creazione da parte di altri intermediari finanziari di istituti (ad es.: lo Small Business Capital Fund ed il Moracrest) destinati al finanziamento di questo specifico segmento produttivo non aveva raggiunto gli scopi desiderati: nella maggioranza dei casi essi avevano trovato più remunerativo dedicarsi alla fascia medio alta del mercato, cioè alle piccole aziende di dimensioni maggiori. Il finanziamento delle “vere”- imprese minori era quindi in larga misura deputato al sistema bancario il quale concedeva loro una certa quantità di capitale mediante agevolazioni di cassa che venivano continuamente rinnovate.
Il rapporto della Commissione concludeva sottolineando due diversi aspetti -per un certo verso speculari- della situazione:

da un lato il fatto che le condizioni fissate da alcuni programmi statali di sostegno finanziario alle PMI prevedessero livelli minimi non sempre raggiungibili da questa tipologia di imprese e che alcune agevolazioni in materia di credito all'esportazione le escludessero completamente,

dall'altro la forte dipendenza di queste imprese, ed in particolare del settore manifatturiero, dal finanziamento bancario.

Solo nella prima metà degli anni ottanta i suggerimenti della Commissione Wilson si concretizzarono in due strumenti di intervento statale, il
 
Loan Guarantee Scheme (LGS)
ed il
Business Expansion Scheme (BES)
 
dei quali ci occuperemo più avanti.

Parallelamente il dibattito in letteratura è stato sempre molto nutrito, soprattutto in questi ultimi anni quando questi temi sono andati ad affiancarsi e a plasmarsi con quello ben più ampio dell'efficienza del processo di intermediazione finanziaria.

Pur nella diversità delle motivazioni addotte nei diversi contributi, sembra che almeno un punto trovi tutti concordi:
le PMI inglesi soffrono una generale sottocapitalizzazione; il Macmillan gap non è stato ancora completamente risolto.
C'è carenza di passività finanziarie (partecipazioni azionarie e finanziamenti) soprattutto a lungo termine e per operazioni di importo ridotto, sebbene nel decennio appena concluso il mercato abbia visto fiorire una molteplicità di iniziative private e pubbliche, dirette ed indirette, ad opera di intermediari finanziari specializzati nel sostegno all'impresa minore.
Questa categoria di intermediari è di difficile collocazione: di essa fanno parte agenzie statali, istituzioni quasi pubbliche, società miste, di proprietà del settore pubblico e privato, e società di natura privata con scopi puramente commerciali.
La gamma di operazioni a cui sono abilitati questi intermediari è molto ampia così come determinante al successo dell'operazione è il grado di innovazione finanziaria da essi applicato.
Cercare di fornirne una trattazione univoca sarebbe pertanto quanto mai errato e riduttivo; noi ci limiteremo a richiamare a grandi linee i principali orientamenti che l'intervento privato e pubblico hanno assunto nel sostegno finanziario alle imprese minori.
Un particolare spazio sarà dedicato all'attività svolta in questo contesto dalle società di venture capital ed ai più recenti programmi intervento (LGS e BES), ma soprattutto a quelle forme di intervento che per ambito di operatività –quello strettamente regionale- ci ricordano più da vicino l'esperienza delle finanziarie regionali.
 
 Le società di venture capital sono in genere società specializzate prevalentemente nel finanziamento di nuove iniziative imprenditoriali con buone prospettive di crescita.
Nel caso inglese, esse sono sorte con una potenzialità operativa più ampia che ha permesso loro di occuparsi anche del finanziamento imprese già mature, con buone prospettive di profitto, allo scopo di sostenerne il processo di crescita e di consolidamento.
La sfera d'azione di questi intermediari si esplica mettendo a servizio dell'impresa tutte le capacità manageriali e finanziarie di cui necessita cosi' che essa sia in grado di cogliere le migliori opportunità di sviluppo offerte dal mercato.
Caratteristico dell'intervento di questi intermediari è che esso si manifesta con un duplice coinvolgimento, quello finanziario, tramite l'apporto di capitale di rischio all'impresa nella forma di partecipazioni azionarie o di prestiti partecipativi, e quello più generale nell'attività gestionale dell'impresa stessa.

È per questo che uno dei requisiti essenziali per il buon fine dell'operazione, dopo un'accurata selezione del progetto, sta nel predisporre un programma finanziario e manageriale "tagliato" sulle esigenze dell'impresa che ne esalti le potenzialità di crescita nel medio-lungo periodo.
 
Nel Regno Unito l'attività di venture capital ha avuto uno sviluppo molto sostenuto in quest'ultimo decennio; gli intermediari che offrono fondi di questo tipo possono essere sommariamente distinti in due gruppi, le captive fund oraanizations e le società di venture capital indipendenti.
Le prime sono solitamente emanazione di un gruppo finanziario che per loro tramite opera nel settore del venture capital: sono società collegate delle maggiori banche e di altri investitori istituzionali a lungo termine (fondi pensione, società di assicurazioni, ecc.) che ne detengono la proprietà e provvedono al loro rifinanziamento. La più importante società di questo tipo
è la 3iGroup, tra i cui sottoscrittori annovera anche la Banca d'Inghilterra, con un giro di investimenti che nel 1988 ha superato il mezzo miliardo di sterline, di cui circa 400 milioni diretti ad interventi a favore di società inglesi.
 
Le società di venture capital indipendenti sono molto vicine per filosofia istituzionale agli independent funds statunitensi Esse raccolgono fondi da un'ampia gamma di sottoscrittori (istituzioni finanziarie, investitori privati, ecc.), pubblicizzando le loro iniziative sulla stampa e finanziandosi direttamente sul mercato.
 
Si conferma come il gruppo più dinamico presente sul mercato: nel 1988 riuniva circa 130 operatori, per un numero di operazioni pari al 49 per cento di tutte quelle intraprese nel Regno Unito compresi gli interventi diretti ed indiretti compiuti in questo settore su fondi statali, per un ammontare complessivo di fondi erogati superiore ai 600 milioni di sterline.

Una distinzione così netta, sebbene opportuna per scopi d'analisi, non è sempre valida nella realtà; la filosofia che guida gli interventi operativi di queste società e la gestione del loro portafoglio non sembra seguire uno stereotipo ben preciso che trova fondamento nella distinzione sopra menzionata, né queste differenze si riverberano in limitazioni della sfera d'azione e degli strumenti disponibili a società appartenenti a gruppi diversi.
 
Nel mondo reale poche società indipendenti sono completamente scevre da legami operativi e proprietari con le istituzioni finanziarie maggiori, soprattutto Merchant banks. Per converso, gli operatori di captive funds godono di una certa autonomia dalla casa madre nella selezione dei progetti e nell'attività di supporto e non sono quindi meri esecutori delle scelte operate dalla banca o dal gruppo finanziario di appartenenza.

Per valutare la rilevanza delle società di venture capital nel processo di intermediazione finanziaria inglese è sufficiente richiamare alcuni dati di sintesi per il 1988. La loro attività di investimento si aggirava intorno ai 1.400 milioni di sterline, dei quali circa l'80 per cento a favore di imprese che per la prima volta si rivolgevano ad un finanziamento di questo tipo; le imprese "servite” superavano le 1300 unità e l'ammontare medio di ciascuna operazione era di un importo pari a circa 684 mila sterline.

Analizzando la ripartizione percentuale degli investimenti delle società di venture capital in base allo "status" delle società finanziate è facile notare come vengano privilegiati essenzialmente quegli interventi definiti di management by-outs (MBO) e di acquisizioni in genere, ovvero il finanziamento dell'acquisto di un'impresa o di un settore della stessa, nel caso di gruppi, da parte dei suoi managers.

Questo tipo di investimenti ha assorbito più del 56 per cento del totale dei fondi investiti, pur ripartendosi tra un numero molto esiguo di operazioni (solo il 21 per cento). Le operazioni a favore della nuova costituzione di attività imprenditoriali sono state invece ben più numerose (circa il 23 per cento) ma di entità per fondi impegnati che ha appena raggiunto il 10 per cento del totale, ciascuna delle quali per un ammontare non superiore alle 350 mila sterline contro i 2 milioni e 600 mila degli investimenti di MBO.

In generale gli investimenti a imprese mature per finanziarne l'espansione ed il rafforzamento sul mercato si confermano come il settore verso il quale le società di venture capital inglesi mostrano una spiccata vocazione: in termini numerici una operazione su due è di questo tipo e può contare in un plafond medio disponibile ai circa 630 mila sterline.

La rapida evoluzione che ha caratterizzato tutti i mercati finanziari in questi ultimi anni ha tuttavia coinvolto anche questo settore; la stessa esplosione dell'attività di venture capital è una conferma dell'esistenza di una carenza nell'offerta di fondi nei confronti della piccola impresa che solo in parte sembra sia stata oggi con questo strumento compensata.

Anche le società che operano in questa sfera d'azione hanno nel corso degli anni cambiato orientamento di gestione e adattato le proprie politiche di intervento alle esigenze espresse dal mercato finanziario.
  Le società di venture capital indipendenti, ad esempio, verso la meta degli anni settanta sono incappate senza successo in alcune operazioni di finanziamento a favore di attività imprenditoriali di nuova costituzione soprattutto nel campo della tecnologia avanzata.
Secondo alcuni questo era il risultato di aver adottato nell'attività di investimento un'ottica di breve periodo, foriera di rapidi profitti per gli investitori ma votata parimenti all'assunzione di un elevato grado di rischio.
Ne è conseguito negli anni un condizionamento della filosofia delle società di venture capital.
Questa esperienza le ha spinte verso una gestione più bilanciata del portafoglio nel tentativo di ridurre il rischio associato ad un'alta concentrazione di investimenti c.d. earlv stage a favore di un più ampio inserimento di operazioni con imprese a diversi stadi di sviluppo della propria attività.

La tendenza in atto sembra confermare questa preferenza per investimenti più sicuri allo scopo di non disperdere le già insufficienti risorse direzionali disponibili; non a caso si è registrato uno spostamento da interventi nel settore della microelettronica (soprattutto computers) e dell'alta tecnologia - notoriamente bisognose di un grosso impegno finanziario soprattutto nella fase di avvio- al finanziamento di progetti di società del settore commerciale collegate al consumo e di altri servizi.

I captive funds, invece, sembra che in questi anni abbiano adottato un approccio relativamente passivo, preferendo come forma di investimento quella in prestiti a lungo termine con minimo coinvolgimento nella gestione diretta dell'impresa, sostenuti in questa loro scelta operativa dal fatto che i gruppi finanziari di cui sono emanazione raramente fanno forte pressione per il realizzo di dividendi elevati o di rapidi profitti da realizzo in conto capitale.
Ad esempio il rendimento medio degli interventi del 3i Group ai è attestato complessivamente intorno al 20 per cento, un rendimento solo di poco inferiore a quello di altri operatori dello stesso gruppo, ma considerevolmente al di sotto di quello atteso dagli investitori di società di venture capital indipendenti.

Questa politica li ha visti premiati in situazioni di instabilità del ciclo borsistico ma alla lunga potrebbe snaturarne le finalità operative.
Tuttavia, seppur con una certa cautela, da qualche anno anche gli operatori di captive funds hanno iniziato a muoversi sul mercato sulla scia della società di venture capital indipendenti, più orientati al realizzo di breve periodo attraverso l'adozione di pacchetti finanziari integrati e dimostrando una presenza più attiva anche nel finanziare attività imprenditoriali ancora in fase embrionale (start up e early stage).

Comunque il compito di fornire piccole somme in situazioni in cui la via d'uscita è incerta sembra sia delegato sempre più alla 3i Group, a programmi di sostegno statale come il BES ed il LGS o alle agenzie di sviluppo regionale.
L'orientamento generale è che investimenti di importo inferiore alle 100 mila sterline non giustificano l'impegno necessario in termini di tempo al management della società di venture capital per espletare tutte le fasi del progetto di finanziamento proposto; nè tantomeno bisogna dimenticare che solo una parte delle società presenti sul mercato inglese sono attive nel segmento più basso e che riceve minori opportunità di finanziamento, quello dello start-up.

Il quadro che emerge dall'analisi precedente lascia intuire che l'onere del finanziamento di operazioni di piccolo ammontare è del tutto a carico degli intermediari finanziari specializzati di natura pubblica o quasi pubblica.

Ad essi sembrerebbe deputata in larga parte la gestione del segmento più basso (inferiore alle 100 mila e superiore alle 250 mila sterline) del processo di intermediazione a favore delle PMI. Il loro intervento è variamente graduato: esso si può manifestare in via indiretta nelle forme di due iniziative statali di recente emanazione, il LGS ed il BES, oppure in via diretta -e segnatamente a livello locale- tramite agenzie di sviluppo regionale.

Con la creazione dei due programmi di finanziamento agevolato, l'autorità statale intendeva dare un nuovo sollievo alla finanza delle piccole imprese del settore privato. In particolare, lo
 
Small Firms Loan Guarantee Sceme (LGS)
introdotto nel 1981, rappresenta un tentativo di ridurre la rischiosità della banca nel prestare alle imprese minori inserendosi in quel segmento nel quale i rischi in cui può incorrere sono considerati troppo elevati a che possa aver successo la sua attività di finanziamento tradizionale.
Esso permette a banche e ad altre istituzioni finanziarie di offrire passività finanziarie a medio termine (2-7 anni) attraverso una sottoscrizione in garanzia, pari inizialmente al 70 e poi aumentata nel 1986 all'80 per cento, fino ad un massimo di 100 mila sterline.
Le attese del mercato erano che gli imprenditori beneficiari del programma in questo modo avrebbero pagato meno per il loro prestito; nella realtà le cose sono andate ben diversamente dal momento che proprio a quest'ultimi è addebitato il premio sull'ammontare garantito, variante dalla sua introduzione tra il 3, il 5 per cento ed ora fissato al 2,5 per cento, a maggiorazione degli interessi sull'operazione.
Par valutare l'impatto di questo strumento sul sistema delle piccole imprese è sufficiente riportare alcuni datii di sintesi per il 1987, da soli già molto eloquenti. Dopo sei anni di operatività 17.648 prestiti per un valore complessivo di 579 miliardi di sterline erano stati sottoscritti in garanzia dallo Stato per un costo netto a carico della pubblica amministrazione di 109 milioni di sterline; prestiti per un ammontare di 146 milioni erano stati iscritti come sofferenze e crediti incagliati ed il reddito prodotto dal versamento dei premi sull'ammontare garantito era di soli 37 miliardi di sterline.
Il punto debole degli interventi via LGS è insito nella loro stessa natura: tramite queste operazioni i nuovi fondi di cui potrà disporre l'impresa sono prestiti a medio-lungo termine e quindi sempre capitale di credito e non di rischio, sono cioè finanziamenti e non partecipazioni.
Il LGS rimane quindi sempre uno strumento inadeguato a sostenere da solo le esigenze finanziarie delle unità produttive più piccole.
Nel 1989 questo strumento di intervento indiretto dello Stato nel processo di intermediazione finanziaria è stato soggetto ad un'ennesima revisione a seguito di pressioni di vari gruppi politici; la sua sfera d'azione non ha ormai alcuna limitazione ed il tetto massimo del finanziamento è stato portato dalle 75 mila sterline iniziali alle 100 mila.

Il Business Expansion Scheme (BES)
fu introdotto dalla Legge finanziaria del 1983 allo scopo di incoraggiare tra il pubblico i piccoli investimenti in azioni di imprese non quotate nè al mercato ufficiale nè all'Unlisted securities Market.
Esso prevede sgravi fiscali nella forma di detrazione dal'imposta sul reddito fino ad un massimo vincolato di 40 mila sterline annue per tutti quei sottoscrittori di azioni ordinarie di nuova emissione (le cosiddette full risk shares di imprese particolarmente qualificate ma ancora non presenti neanche sul mercato secondario.
L'impresa partecipata, da parte sua, per poter essere eleggibile come soggetto beneficiario deve avere sede legale in Gran Bretagna e possibilmente non deve essere un'impresa finanziaria ma svolgere un'attività tra quelle espressamente previste.
Per converso l'investitore, oltre ad avere l'obbligo di mantenere in portafoglio la quota di partecipazione per almeno un quinquennio, affinché operino le agevolazioni fiscali sopra richiamate, è necessario che non abbia legami di alcuna natura con la partecipata, nè di controllo diretto o indiretto, anche attraverso precedenti operazioni di partecipazione.
Il metodo più comune adottato dal BES per la raccolta di fondi sul mercato è il collocamento diretto di azioni tra il pubblico; in altri casi invece è prevista la possibilità per l'investitore di sottoscrivere quote di un fondo di investimento collegato al programma.
Nell'ottica dell'impresa il maggior vantaggio che offre questo strumento sta nel fatto che esso, fungendo da "cuscinetto" tra partecipata e sottoscrittori, riesce con ogni probabilità ad allentare la tensione tra le parti, non ultimo in virtù della clausola che vieta a coloro che hanno investito in questo programma di alienare prima di cinque anni le azioni in loro possesso senza perdere contestualmente anche le agevolazioni fiscali di cui si sono avvalsi.
Come sempre alcune informazioni di sintesi possono risultare di una qualche utilità. Oltre 2.400 piccole imprese hanno beneficiato del BES nei suoi primi quattro anni di attività, in media circa il 90 per cento dei fondi investiti è andato a finanziare imprese allo stadio iniziale della loro attività ed in generale legate al terziario (commercio all'ingrosso ed al dettaglio, settore immobiliare, agenzie turistiche, ecc.). Nel complesso il volume di investimenti gestito da questo programma è passato dagli iniziali 105 milioni di sterline nel 1983-84 ai circa 180 milioni nel 1987-88: un bilancio quindi largamente positivo.
In generale lo scopo per cui il BES era stato ideato era quello di attirare sul mercato dei capitali fondi per operazioni altamente speculative; in contropartita agli investitori venivano offerti rendimenti elevati e agevolazioni fiscali per compensare il rischio cui si erano esposti. Sebbene abbia -almeno in apparenza- riscosso un certo successo, in realtà questo strumento ha attirato e raccolto soprattutto fondi per interventi a basso rischio o quanto meno a rischio contenuto come i fondi di venture capital ad esso collegati, gli investimenti per lo sviluppo della proprietà, ecc.
Nel 1986, nel tentativo di ovviare a queste distorsioni che si erano manifestate nella filosofia operativa del programma, gli furono apportati alcuni emendamenti tra i quali l'esclusione dai soggetti beneficiari di tutte quelle attività commerciali con più del 50 per cento del loro patrimonio in terreni ed immobili.
Senza alcun dubbio, il contributo del BES allo sviluppo ed al consolidamento dell'attività di talune categorie delle piccole imprese è stato largamente positivo, soprattutto per l’aiuto da esso fornito a colmare l’equity gap per quelle imprese con esigenze di fondi inferiori alle 100 mila sterline.
Anche i recenti emendamenti al programma sono stati studiati per consolidarne il ruolo di fonte di passività a lungo termine per una gamma ed un numero sempre più ampio di PMI.
 
Parallelamente a queste misure di intervento indiretto lo Stato opera nel processo di intermediazione finanziaria anche in via diretta attraverso propri enti per alcuni dei quali il campo di attività è a valenza esclusivamente regionale.
Questo è il caso della
Rural Development Commission in Inghilterra
e della
Welsh Development Agency.

La gamma di interventi a disposizione di queste due istituzioni è molto simile ma sicuramente meno ampia di quella che può offrire la
Scottish Development Aqency (SDA).

Quest'ultima, infatti, oltre ad una generica attività di consulenza, può impegnarsi, attraverso la Small Business Division, anche nel sostegno finanziario delle imprese con prestiti partecipativi e a medio lungo termine, nel caso di società in fase di crescita, e con l'acquisto di quote di partecipazione nel caso di nuove e promettenti iniziative imprenditoriali. In generale, questa agenzia regionale nel suo ruolo di datore di fondi è obbligata -proprio perchè sostenuta da fondi statali e/o da autorità locali- a promuovere esclusivamente quelle attività che, pur essendo commercialmente valide, non sono in grado di reperire una copertura finanziaria completa dal circuito degli intermediari privati causa l'alta rischiosità dell'operazione.

Quindi. gli interventi a sostegno delle imprese che questa agenzia può realizzare vanno dalla partecipazione di maggioranza al capitale di rischio, con assunzione di quote sociali superiori al 50% da parte delle c.d. subsidiarv companies, alla partecipazione minoritaria, effettuata per il tramite di associated companies.
Ad essi se ne aggiungono altri quali la concessione di mutui agevolati per investimenti, la consulenza tecnica e finanziaria a favore delle piccole imprese, la costruzione, manutenzione e locazione di edifici industriali ed altre attività di ricerca. informazione e promozione.
 
Nel campo di attività di questi intermediari specializzati, come di molte altre emanazioni del settore pubblico su scala nazionale, sono compresi anche interventi per la tutela ed il miglioramento dell'ambiente.
Nelle loro funzioni rientrano inoltre la salvaguardia dei livelli occupazionali, la creazione di nuova occupazione, il recupero delle aree depresse.
Normalmente, qualora abilitati a compiere interventi di natura finanziaria, concedono prestiti a tassi di interesse di mercato, ma per quanto riguarda altri aspetti delle loro condizioni di credito - ad esempio le garanzie - possono essere meno rigidi. Essendo sovvenzionati dallo Stato, di solito sono più proclivi ad assumersi l'onere di rischi maggiori e concedere altresì scadenze di rimborso più differite rispetto a quelle di altri operatori.
Pur tuttavia è loro compito rispettare nella gestione taluni canoni di economicità ed obiettivi di natura finanziaria già prefissati così da coprire almeno i costi.
 La chiave di lettura di questo stile di intervento è che queste agenzie sembrano preferire un ruolo complementare piuttosto che concorrente a quello di altri intermediari attivi sullo stesso segmento di mercato.
Tale scelta operativa ha già iniziato a maturare i suoi effetti positivi nel finanziamento della piccola impresa soprattutto nei casi in cui l'agenzia si è affiancata ad altre iniziative di matrice locale, quali le camere di commercio (ad es. quelle che tuttora operano nel Merseyside, West Midlanc e West Yorkshire).
 
In conclusione l'offerta di fondi alle PMI sembrerebbe aver raggiunto sul mercato finanziario britannico un grado di elevata flessibilità capace di garantire l'assistenza e consulenza finanziaria a queste imprese. Ancora problematico invece sembrerebbe il reperimento di passività per importi inferiori alle 100 mila sterline ed in generale il finanziamento di imprese in start-up e di settori ad hiqh risk finance (alta tecnologia, ecc.).
Questa incapacità di indebitamento "verrebbe –tamponata” nella maggioranza dei casi, con operazioni di scoperto bancario. Rimangono quindi spazi ancora aperti per gli intermediari finanziari specializzati che operino congiuntamente alle clearing banks offrendo pacchetti finanziari integrati.