Giancarlo Sacconi

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Le Finanziarie in Francia

Il sistema finanziario francese è dominato dalla presenza del modello di “banca universale” impegnata nell’affidamento di qualsiasi tipo di clientela nel breve così come nel medio termine e da un mercato finanziario con un basso livello di specializzazione.

In esso i flussi diretti tra settori sono relativamente deboli rispetto alle dimensioni del mercato stesso ed i pochi intermediari specializzati ricoprono un ruolo del tutto secondario.
Anche in questo paese, a partire dalla riforma del sistema creditizio del 1966, la spinta alla deregolamentazione finanziaria è stata sostenuta. Il sistema tende sempre più
· ad assumere una maggiore autonomia dal ruolo finanziario tradizionale dello Stato,
· ad essere più decentrato territorialmente e dimensionalmente e meno segmentato per specializzazione funzionale.
 
Prodotti e servizi offerti dalle banche di deposito non sempre sono complementari a quelli delle banche d'affari e degli altri intermediari specializzati, anzi il più delle volte si pongono rispetto ad essi come un'alternativa valida ed altamente concorrenziale.
 
Tuttavia, questo sistema mostra ancora alcune lacune rese più profonde dall'assenza di mercati azionari ben articolati e quindi solo parzialmente reattivi alle esigenze di certe categorie di imprese del mondo della produzione.
 

Il problema del rafforzamento del capitale di rischio delle imprese non quotate non sembra infatti aver trovato una soluzione adeguata nel modus operandi degli intermediari finanziari specializzati presi in esame.
 
Di seguito esamineremo attività, strumenti e caratteristiche gestionali di:
 
· Sociétés de développement régional - Instituts régionaux de partecipation - Sociétés financières d'innovation.
 
cercando di volta in volta di evidenziarne finalità e limiti operativi.
 
In tutti i tre casi ci troviamo davanti ad iniziative sorte prevalentemente grazie a consistenti aiuti statali e con un trattamento fiscale particolarmente vantaggioso che però sono state accolte con scetticismo dall'ambiente finanziario e industriale.
 
Il regime vincolistico imposto a questi intermediari li ha resi inadeguati a fronteggiare le esigenze del mercato lasciando di fatto in questo segmento dell'offerta di fondi spazio sufficiente, anche a livello locale, ad altri intermediari (Filiali di banche, il Crédit National, le Sociétés locales de partecipation financiére).

 

Le Societes développement régional (SDR)
 
sono uno degli strumenti di politica regionale introdotti con un pacchetto di decreti dal governo Faure nel 1955 nel tentativo di valorizzare, attraverso una serie di interventi ad hoc, alcune aree del paese meno sviluppate o con un grado di sviluppo ancora incerto.
La loro funzione si esplica in un'attività di -drenaggio- del risparmio regionale che viene dirottato verso le PMI non quotate al fine di stimolare la valorizzazione delle regioni che accusano sottoccupazione o uno sviluppo economico insufficiente.
Nate su iniziativa del settore pubblico, le SDR sono finanziarie di sviluppo a capitale privato che di fatto hanno sostituito le scomparse banche d'affari regionali nel finanziamento a medio e lungo termine delle imprese minori.
Il loro capitale sociale è quasi totalmente sottoscritto da grandi banche di deposito, dal Crèdit National- Istituto pubblico per il credito industriale a medio e lungo termine - da Casse di risparmio, Banche regionali e locali ed altri Istituti finanziari, nonché da privati (industrie regionali e piccoli risparmiatori). 
Con la legge 2 marzo 1982 anche le regioni furono autorizzate a partecipare al capitale delle SDR. In realtà, in via legislativa non è indicato né la quota di

Partecipazione minima dell'ente regione nell'azionariato delle SDR, né tanto meno se questa presenza debba necessariamente caratterizzare -con il possesso del pacchetto di maggioranza- la compagine proprietaria di dette
fatto, nei 2/3 dei casi, le regioni hanno finora preferito entrare come soci di minoranza con una partecipazione variabile tra il 5 ed il 15 per cento , salvo il caso della SDR che opera nella Provenza - Costa Azzurra (EXPANSO) in cui la partecipazione della regione è pari al 34 per cento e di quella attiva in Corsica (MEDITERRANEE) a capitale in larga maggioranza pubblico (Stato + regione).
 
Nella quasi totalità dei casi la forma giuridica prescelta all'atto di costituzione è stata quella di S.p.A. che per sua natura porta ad escludere che detti intermediari possano assumere la qualità di soci illimitatamente responsabili rispetto alle proprie partecipate.
Il loro obiettivo statutario consiste nel promuovere lo sviluppo regionale attraverso l'acquisizione di partecipazioni azionarie e l'erogazione di finanziamenti a imprese regionali esclusivamente del settore industriale e solo dal 1981 anche ad imprese del terziario.
Scarsa invece è sempre stata l'attenzione rivolta ai settori produttivi innovativi ad alto valore aggiunto, sacrificati spesso agli obiettivi occupazionali ritenuti prioritari.
Con l’introduzione delle SDR nel sistema finanziario lo Stato cerca di assicurare alle imprese la disponibilità di un volume più consistente di capitale di rischio; in tal modo questi nuovi intermediari avrebbero dovuto contribuire a sciogliere il nodo strutturale della sottocapitalizzazione delle imprese puntando al rafforzamento dei fondi propri anche a diversi stadi di crescita dell'impresa (fase iniziale o già in sviluppo avanzato).
L'esigenza di disporre a livello locale di organismi finanziari che fossero anche idonei a soddisfare le necessità di credito a medio e lungo termine delle imprese di piccole e medie dimensioni ha fortemente condizionato la regolamentazione imposta alle SDR.
Ad oggi, esse sono circa una ventina di cui oltre il 50 per cento era stato costituito e reso operativo già nel primo triennio dall'emanazione del decreto istitutivo.
Il loro modello di intervento si fonda sul rispetto di una serie di vincoli oggettivi e soggettivi.
 
· I primi riguardano essenzialmente la natura del beneficiario; le SDR possono quindi esplicare la loro attività solo verso quelle imprese del settore industriale e dei servizi che rivestano la forma giuridica di società di capitali ed abbiano un fatturato inferiore ai 100 milioni di Fr..
· Gli altri incidono sull'ambito di operatività di questi intermediari e sulla gestione del portafoglio.
 
Ogni SDR, in virtù di una sorta di specializzazione territoriale, ha di regola competenza in via esclusiva sulla propria regione, eccetto alcuni casi in cui le zone di intervento di ciascuna finanziaria si intersecano o addirittura si sovrappongono.
 
Inoltre le SDR ottemperano a questo vincolo di tipo prudenziale sulla gestione assumendo partecipazioni azionarie in imprese preesistenti o di nuova costituzione entro il limite del 35 per cento del capitale di rischio, senza che però la partecipazione azionaria nella singola impresa possa in alcun caso superare il 25 per cento del capitale sociale della SDR.
 
La scelta per un tipo di regolamentazione siffatto potrebbe stare ad indicare una precisa volontà del legislatore di precludere a queste società finanziarie la via all'azionariato di maggioranza nelle imprese partecipate suggerendo sulla carta per le SDR un ruolo di complementarietà, piuttosto che di concorrenza, con il sistema bancario e con gli altri intermediari specializzati a livello regionale e nazionale.
 
Al fine di favorirne la creazione e l'affermazione sul mercato finanziario, lo Stato - in considerazione della loro natura ibrida di emanazioni pubbliche a capitale privato - ha previsto sin dall'inizio per le SDR un regime giuridico e fiscale agevolato che le esonera dall'imposta sulle società, dall'imposta sulla distribuzione dei profitti e dall'imposta sui redditi netti di portafoglio sulle plusvalenze da cessione di titoli.
A questi incentivi si aggiunge la deducibilità dal reddito imponibile dei dividendi versati ad una SDR nel caso in cui la partecipazione della finanziaria superi il 10 per cento del capitale dell'impresa.
Pur godendo di un regime fiscale che avrebbe dovuto di per sé stimolare e favorire la raccolta di capitali sul mercato, le SDR hanno invece incontrato sin dall'inizio difficoltà nel gestire un modello di sviluppo puramente partecipativo.

Esse furono quindi autorizzate ad emettere prestiti obbligazionari per conto di imprese che operavano nella loro rispettiva zona di competenza ed a concedere prestiti a medio e lungo termine offrendo garanzie collaterali per mutui accesi dalle imprese presso istituti di credito.
 
La natura e la peculiarità del ruolo delle SDR nel mercato finanziario usciva cosi - nei primi anni Sessanta - profondamente modificata; ma con queste nuove possibilità operative - che godevano peraltro di ampie garanzie statali - solo inizialmente fu raggiunto con maggiore facilità lo scopo desiderato di coagulare nelle mani di questi intermediari capitale fresco per favorire la ricapitalizzazione delle PMI.
 
Il problema di riequilibrare i conti delle imprese rimaneva ancora aperto e divenne uno dei tre obiettivi prioritari del governo Barre per il rilancio dell'economia.
 
Al potenziamento dei fondi propri delle imprese, sempre con l'obiettivo di favorire la ripresa dell'accumulazione, è diretta la "legge Monory" (Misure per l'orientamento del risparmio verso il finanziamento delle imprese) del 1978 che provoca per qualche tempo un ciclo borsistico abbastanza vivace.
 
In linea con questo provvedimento riprende l'attività partecipativa delle SDR stimolata da un nuovo contributo statale a questo tipo di operazioni, il “prime”.
 
Con esso il Tesoro si impegna a versare alla SDR contestualmente al perfezionamento della fornitura di capitale di rischio all'impresa - un premio a parziale copertura del capitale sottoscritto in azioni o quote di nuove emissioni pari al 50 per cento dell'operazione se a favore di imprese di nuova costituzione o al 25 per cento per imprese già esistenti,
sempre che la SDR raddoppi entro un triennio il proprio capitale nell’operazione.
 
Conseguentemente l’attività di partecipazione delle SDR ha palesato un rinnovato dinamismo in quest'ultimo decennio:
se infatti il volume di partecipazioni complessive era pari a 120 milioni nel 1976 ed a 742 milioni nel 1983, nel 1986 sfiorava il miliardo di Fr. con una presenza capillare in più di 1.000 imprese di piccola e media dimensione.
 
Tentare un bilancio a tutt'oggi dell'azione delle SDR è difficile. Emanazioni di un modello centralizzato che ha di certo responsabilità proprie nei deludenti risultati conseguiti dalla politica regionale in Francia, questi intermediari, più che svolgere l'auspicato ruolo di promozione a favore delle imprese di minori dimensioni, hanno colto ed assecondato i fenomeni di espansione economica nati spontaneamente su tutto il territorio, forti della loro posizione privilegiata di dispensatori diretti delle sovvenzioni statali alle PMI e toccati solo in via marginale dall'evoluzione che la fisionomia del sistema bancario francese ha vissuto in questi ultimi anni.
I.R.D.I.
 
Per quanto riguarda gli istituti regionali di partecipazione a capitale pubblico e semipubblico, oltre ad alcune peculiarità già richiamate in precedenza, può risultare di qualche interesse ripercorrere l'esperienza abbastanza recente dell’I.R.D.I.
 
Esso vuol essere uno strumento di politica industriale che, pur nel rispetto delle priorità stabilite dai piani di sviluppo regionale, possa essere ben accetto al management delle imprese e godere di una certa solidità finanziaria tanto da poter ricorrere a fondi di origine privata per il finanziamento delle sue operazioni.
 
La formula di gestione di questo istituto, così come gli incentivi fiscali di cui gode, ricalcano in parte la struttura degli IRP privati, arricchita dalle disponibilità tecniche e finanziarie che la regione offre ad alcuni settori produttivi.
 
Anche per l'IRDI l'intervento partecipativo in una singola impresa, attraverso la sottoscrizione di prestiti partecipativi o di obbligazioni convertibili, non può oltrepassare il limite del 35 per cento del capitale della partecipata, e sempre che detta società svolga la sua attività principale nella regione dei Midi-Pyrénée.
 
Come per gli istituti regionali di partecipazione privati non é consentito a questo istituto di emettere obbligazioni: il suo volume di attività e la capacità di intervento dipendono così dalle dotazioni regionali, dal capitale proprio ma soprattutto dalla liquidabilità delle partecipazioni assunte in portafoglio.
 
Come strumento della politica di sviluppo locale questo istituto è condizionato nelle sue scelte dalla volontà dell'ente pubblico. La delibera regionale votata all'atto della sua costituzione ne stabilisce infatti ambito di operatività e settori chiave per l'intervento nell'economia regionale (l’industria agro-alimentare, tessile, pellami).
 
In realtà l'IRDI non si propone alle imprese esclusivamente come partner finanziario: integra, infatti, il modello partecipativo mettendo a disposizione dell'impresa, a spese della Regione, una struttura di consulenza industriale e finanziaria che coopera con la gestione dell'impresa stessa per il buon fine dell'operazione.
 
Anch'esso gode di un fondo di garanzia regionale con una dotazione di 10 milioni di Fr. che grava in parti uguali sul bilancio statale e su quelli di alcuni enti pubblici locali.






Instituts regionaux de partecipation (IRP)
 
Bisogna giungere alla seconda metà degli anni Settanta, affinché il mercato finanziario francese, in risposta alle persistenti difficoltà di finanziamento della piccola e media impresa messe in luce dalla Commissione Mayoux, si
 arricchisca di un'altra figura di intermediari non bancari, gli Instituts regionaux departicipation (IRP).
 
Questi istituti non si differenziano particolarmente dagli altri intermediari specializzati nella fornitura di capitale di rischio alle imprese né per finalità né per strumenti ed anzi condividono molte caratteristiche giuridiche e gestionali con le SDR.
 
Anch'essi operano a favore di imprese non quotate, essenzialmente di medie dimensioni, senza preclusione per alcun settore economico e con il consueto limite a svolgere la propria attività a livello regionale allo scopo di contribuire al decentramento del sistema finanziario.
 
Il regime fiscale privilegiato del quale si avvalgono ricalca largamente quello previsto per le SDR.
 
A differenza di queste ultime è fatto loro divieto di emettere obbligazioni o svolgere altre operazioni che possano favorire un'attività di raccolta a sostegno dell'attività partecipativa. L'importo degli interventi medi ai quali sono abilitati è di fatto superiore a quello previsto per le finanziarie di sviluppo. Esso oscilla tra i 500.000 ed i 3 milioni di Fr. pari ad una partecipazione al capitale della singola impresa pur sempre minoritaria e variabile tra il 5 ed il 33 per cento.
 
Questo limite, assieme a quello che stabilisce che una singola operazione di partecipazione non possa assorbire più del 25 per cento del capitale dell'IRP, rientra nei normali vincoli carattere prudenziale che regolano l'attività ad elevato grado di rischio di questi ed altri intermediari.
 
Gli istituti di partecipazione attualmente costituiti sono poco più di una quindicina e si articolano su tre modelli di operatività ben differenziati:
 
Ø gli IRP a capitale esclusivamente privato e senza alcun obbligo istituzionale di perseguire obiettivi di politica industriale regionale;
Ø gli IRP la cui veste giuridica è quella di una società ad economia mista (per l'acquisto, la costruzione e l'allestimento di fabbricati industriali da dare in locazione o da alienare) e nei quali l'azionariato di maggioranza è di origine pubblica;
Ø l’IRDI, di più recente costituzione (1981), che si presenta con una formula intermedia tra quelle precedentemente indicate.
 
Al primo gruppo appartengono alcuni grandi istituti (SIPAREX, PARTICIPEX, IPO, AUXITEX) sorti tutti quasi simultaneamente intorno al 1977.
 
Le autorità pubbliche hanno mostrato un certo interesse all'iniziativa condividendone sin dall'inizio le finalità:, ciascuno di questi istituti è stato infatti dotato un fondo di garanzia statale a sostegno dell'attività di partecipazione nel caso di eventuali perdite che assicura la copertura al 50% per le minusvalenze da partecipazioni di nuova emissione ed al 25 per cento per quelle da riacquisto.
 
 La compagine azionarla di questi istituti è come abbiamo detto a maggioranza privata ed è sostenuta soprattutto dalle tre grandi banche nazionali, dalle banche regionali e solo in via residuale da altri investitori istituzionali, dalle camere di commercio e dalle imprese industriali, regionali e non.
 
 Sebbene la componente"regionale" (banche + imprese) nella partecipazione al capitale di questi istituti sia predominante soltanto per l'IPO e PARTICIPEX, in generale le preferenze di questi istituti hanno favorito la formazione di compagini proprietarie quanto più possibile frazionate così da garantire una certa indipendenza tra attività gestionale dei singoli istituti ed assetto proprietario degli stessi.
 
La succitata indipendenza dall’azionariato ed il ruolo di partner finanziario estraneo alla realtà dell'impresa che gli IRP mantengono nei confronti della gestione delle loro partecipate, sono i due punti di forza di questi istituti.
Essi infatti, a differenza delle SDR, non si avvalgono né di rappresentanti nel consiglio di amministrazione dell'impresa a tutela del proprio capitale investito, né sono uno strumento finanziario dell'ente regione e pertanto vincolato a perseguire obiettivi di sviluppo regionale. Questo insieme di elementi li rende particolarmente ben accetti al management delle imprese a cui si rivolgono, notoriamente restio ad accettare intromissioni nel proprio capitale per timore di perdere il controllo giuridico dell’impresa.
 
In considerazione della preclusione per questi intermediari di operare con strumenti diretti di raccolta del risparmio, la solidità patrimoniale di questi istituti -da cui dipende in larga parte la loro capacità operativa- si fonda direttamente sulla redditività dei fondi investiti. È quindi nell'interesse stesso delle imprese partecipate dagli IRP a che la redditività del proprio titolo sia legata ad introiti da dividendi, regolari e sufficientemente elevati, piuttosto che a plusvalenze da realizzo.
In tal modo gli stessi IRP sono invogliati a porsi nei confronti dell'impresa come partner stabili piuttosto che come "venture capitalist”.
 
Non a caso questi istituti di partecipazione solitamente preferiscono alle azioni ordinarie le azioni privilegiate che solitamente offrono maggiori garanzie nella distribuzione degli utili.
Inoltre il fatto che questi istituti preferiscano il più delle volte la cessione del titolo, alla stipula di patti parasociali a favore dell'azionariato d'impresa, ne sottolinea la natura di strumento di supporto e consolidamento della struttura proprietaria dell'impresa, piuttosto che di strumento di crescita dimensionale e qualitativa dell'impresa stessa.

Sociétés financiéres innovation (SFI)

L'ultimo gruppo di intermediari specializzati nelle fornitura del capitale di rischio alle imprese che prenderemo in esame sono le Sociétés financiéres innovation (SFI). Sono società di capitali la cui finalità è di stimolare e favorire la produzione e l'applicazione di nuova tecnologia nei diversi settori industriali tramite l'assunzione di partecipazioni temporanee di minoranza al capitale di imprese di dimensioni minori. Oggetto della loro attività è quindi promuovere a livello industriale l'impiego dei risultati della ricerca tecnologica, indipendentemente dal fatto che siano innovazioni di prodotto o di processo,coperte o meno da brevetto, e sempre che non siano state ancora impiegate o che comunque siano suscettibili di applicazioni completamente nuove.
 
Proprio in relazione all’atipicità dell’oggetto sociale perseguito da questi intermediari  questi intermediari rispetto alle norme del diritto comune che regolano la materia societaria, il legislatore ha preferito rimandare la loro istituzione ad una speciale disciplina.
 
L'intento era di scuotere il sistema produttivo francese da uno stato di ”impasse” innovativo in cui versavano alcuni settori produttivi, soprattutto quelli ad elevato contenuto tecnologico, e rilanciare la figura ed il ruolo del piccolo e medio imprenditore come potenziale produttore di innovazione.
 
La necessità di una "politica per l'innovazione" si rendeva evidente tanto a breve che a lungo termine: la sopravvivenza delle imprese in alcuni settori particolarmente esposti alla concorrenza era legata unicamente alla capacità innovatrice delle stesse e la bilancia tecnologica francese rimaneva fortemente deficitaria.
 
Inserendo questo tipo di società di capitali nel sistema degli intermediari finanziari, il legislatore quindi si prefiggeva di raggiungere un duplice scopo:
 
Ø dare il desiderato nuovo impulso all'attività di ricerca e sviluppo, alquanto inerte nell'industria francese all'inizio degli anni settanta,
Ø e potenziare il mercato dei capitali, tipicamente poco attivo nel contesto regionale.
 
La creazione di questo nuovo strumento della finanza d'impresa, anche se rivolto indiscriminatamente alle imprese di qualsiasi dimensione, veniva a favorire soprattutto quelle di dimensioni minori che operano in settori ad alta tecnologia e ad elevato contenuto innovativo per prodotti e servizi.
Questa tipologia di imprese infatti, oltre ad essere penalizzata dalle tradizionali difficoltà di accesso al credito, soffriva più di altre -data l'onerosità della frontiera tecnologica- la carenza di operatori sul mercato dei capitali., elemento questo che aveva sensibilmente contribuito a rallentare il processo interno di sviluppo e di diffusione di nuove tecnologie.
 
La diffusione delle società finanziarie per l'innovazione affidata dal legislatore soprattutto all'efficacia  di una serie di agevolazioni fiscali. Fu infatti previsto un regime fiscale di favore a beneficio degli azionisti di queste nuove società secondo le modalità tecniche dell'ammortamento eccezionale sulla base del quale veniva loro consentito di portare in deduzione dal reddito imponibile, sin dal primo periodo d'imposta in cui la spesa viene sostenuta, fino al 50 per cento del prezzo di sottoscrizione delle azioni, sia per SFI di nuova costituzione sia in caso di aumento di capitale: di recente il tasso di ammortamento eccezionale è stato elevato al 75 per cento. La normativa inoltre prevede, sempre a beneficio degli azionisti delle SFI, l'esonero dall'imponibilità delle plusvalenze da titoli di queste società finanziarie nel caso di cessione delle azioni sottoscritte nell'arco di un triennio.
 
Dato il grado di rischio elevato dell'oggetto sociale di queste società, è data loro l'opportunità di stipulare una convenzione con il Ministero dell'economia e delle finanze con la quale vendono stabilite le finalità operative e di gestione della società finanziaria, sentito il parere vincolante del Ministero dello sviluppo industriale e scientifico. La convenzione stabilisce infatti la ripartizione del capitale autorizzato tra le diverse operazioni di innovazione, individua i settori di punta d’intervento, fissa termini e modalità dell'attività di partecipazione e finanziamento, una normativa per il controllo giuridico della SFI e le condizioni alle quali la convenzione stessa può essere estinta. Anche in questo caso, come per le altre figure di intermediari soggetti al controllo dei poteri pubblici in precedenza esaminate, l’autorità statale nomina un suo rappresentante presso ciascuna società con cui abbia stipulato una convenzione a garanzia del rispetto egli accordi sottoscritti.
 
Tra i vincoli di natura Giuridica cui per decreto sono soggette le SFI convenzionate c'è, come per gli IRP, il divieto di operare sul mercato della provvista emettendo obbligazioni o altri titoli, limite che di fatto viene ad incidere direttamente sul volume di attività delle finanziarie stesse. Queste sono abilitate a compiere operazioni di investimento in fondi propri o ad essi assimilati verso società la cui attività sia ottemperata dal loro oggetto sociale ed il cui capitale sia compreso tra i 30 ed i 300 milioni di Fr.
 
Una disciplina ancor più analitica riguarda il capitale sociale di dette finanziarie; esso è fissato nel limite minimo di 10 milioni di Fr. frazionato in quote, ciascuna delle quali non può essere superiore al 30 per cento. Inoltre, almeno l'80 per cento di esso deve essere utilizzato per operazioni previste dall'oggetto sociale e quindi strettamente connesse allo sviluppo dell'innovazione. Ogni singolo intervento varia in media da un'esposizione di 500 mila a 2 milioni e mezzo di Fr, pari ad un impegno oscillante tra il 10 e il 33 per cento del capitale della SFI.
 
Sebbene le agevolazioni di tipo ai sottoscrittori di azioni delle SFI fossero di portata non trascurabile, almeno inizialmente questa normativa sembrerebbe aver incontrato un interesse limitato nel mercato finanziario. Nell'arco di un triennio. tra il 1972 ed il 1975, furono costituite solo quattro società finanziarie per l'innovazione, nell'ordine SOFINNOVA, SOGGINOVE, BATTINNOVA e SOFININDEX, tutte operative sull'intero territorio nazionale e nei settori industriali di punta (Battinnova esclusivamente nel ramo della cantieristica navale).
 
L'attività ad elevato contenuto di rischio a cui queste società sono deputate nel finanziamento del capitale proprio delle imprese ad alta tecnologia per prodotti e servizi offerti, l'incerta redditività delle operazioni di investimento, la difficoltà di smobilizzo del portafoglio titoli non hanno certo alimentato il nascere di una nuova filosofia della finanza d'impresa che valorizzasse agli occhi degli investitori privati questo strumento.
 
Né tantomeno la leva dell'incentivo fiscale posta dai poteri pubblici per favorire l'azionariato delle SFI aveva risposto alle aspettative in modo adeguato; il punto nodale rimaneva la lacunosità di un mercato secondario dei valori mobiliari ancora poco sviluppato ma soprattutto inadatto a trattare “valori tecnologici”.
 
L'istituzione nel 1980 di un fondo di garanzia statale - ora affidato a SOFARIS - per il parziale ripianamento delle perdite di gestione subite dalle finanziarie per l'innovazione si è rivelato, almeno inizialmente, uno stimolo sufficiente a far sorgerà nella prima metà degli anni ottanta, nuove iniziative di questo genere, anche a livello operativo strettamente regionale. Tuttavia il dibattito ancora aperto sul futuro degli strumenti finanziari e legislativi atti a rafforzare il capitale di rischio delle imprese medio piccole, dibattito che coinvolge esperti e poteri pubblici, sembra quanto mai vivo e vivace ad indicare che un equilibrio di mercato è ancora lontano dall'essere stato raggiunto.