L'Etica è lo scopo fondamentale
di Spinoza.
Non è un caso che la sua opera principale, quella
completata alla fine della sua vita, si intitoli Etica.
Una particolarità del pensiero di Spinoza è proprio la sua
intenzione di fondare un’etica su base ontologica, cioè su
ciò che riguarda la conoscenza dell'essere, della realtà,
dell'oggetto in sé.
Per poter effettivamente considerare l'uomo come la parte di
un tutto e non in una dimensione a sé stante, occorre
percorrere gli stadi della struttura ontologica definita da
Spinoza, una struttura che ha al suo vertice l’essere
supremo, la sostanza-Dio, e si sviluppa, a scendere, nella
teoria degli attributi e della produzione dei modi. Infine;
bisogna analizzarne la natura nella sua intelligibilità,
cioè nella possibilità di comprenderla attraverso il nostro
intelletto.
Il fatto che l’essere sia in sé una produzione, esclude
qualsiasi interpretazione del senso dell’essere in termini
di creazione o emanazione, e questo pone Spinoza fuori dalla
tradizione religiosa occidentale, ebraica e cristiana, per
quel che concerne la teoria dell'essere, e questo per il suo
tempo fu una vera e propria rivoluzione copernicana, tanto
che mal gliene incolse.
Sulla base di questa grande svolta ontologica, Spinoza
costruisce un’originale teoria etica evitando qualsiasi
elemento di moralismo. Egli liquida ogni "visione morale" o
moralista del mondo fondata su norme assolute che
appartengano ad un sistema ontologico-ideale fissato una
volte per tutte e su valori che siano oggetto di
un'intuizione specifica.
L'uomo è un essere naturale che deve essere incluso
nell'ambito della produttività infinita della natura, come
una parte di essa, un "frammento" di questa sua stessa
produttività.
Se si individua il posto dell’uomo in un sistema di
relazioni naturali, gli si dà la possibilità di una migliore
comprensione di se stesso, della propria capacità di pensare
e di usare meglio la propria capacità di produrre.
Questo implica un nuovo rapporto dell’uomo con il corpo, in
cui si rifiutano i principi normativi e i concetti
dell'etica tradizionale, il bene e il male in sé, il
peccato, l'ingiustizia, le nozioni dell'antropologia tomista
e le possibili conseguenze che questa poteva avere nell'era
culturale in cui Spinoza si è formato, segnata dalla riforma
religiosa nei Paesi Bassi del XVII secolo.
Quindi, una giusta visione del problema etico, secondo
Spinoza, inquadrato al di fuori di ogni moralismo, di ogni
prospettiva moraleggiante del mondo, è legata ad
un'ontologia laica, immanentistica, cioè intrinseca e
connaturata alla realtà, ad ogni realtà che non trascende la
sfera di un'altra realtà, e contrapposta perciò, come ben si
comprende, al “trascendente”.
Non si può incatenare la natura ad un Dio trascendente, con
sembianze umane, che interverrebbe a regolarne il corso, con
la sua saggezza e con la sua superiore volontà.
Non si deve incatenare l'uomo ad una visione che gli assegna
un privilegiato posto nella natura, sul fondamento del quale
egli possa realizzare, oltre la natura, la sua superiore
essenza rendendosi così "omologo" a Dio. Queste sono solo
aspirazioni e desideri incontrollati dell'uomo, è l’origine
immaginifica di tutte le determinazioni che si attribuiscono
a Dio come persona. Una ricerca della perfezione della
volontà e dell'intelletto, per Spinoza, non è altro che il
risultato delle proiezioni dell'umano desiderio in Dio.
La visione moralista del mondo non è che l’esplicazione di
un’idea (che non appartiene all'essere), di un desiderio, di
una forza d'essere che non accetta o non riesce a
riconoscere se stessa in quanto prodotta, ovvero risultato
di una produzione, in quanto effetto della natura, e che
vuole, di conseguenza, essere principio e causa.
La critica del "libero
arbitrio".
La critica spinoziana del libero arbitrio, della finalità e
del dover essere è un passaggio indispensabile per costruire
un’etica.
Infatti, non si può porre il problema dell'azione dell'uomo
e delle sue possibilità, se si rimane legati al concetto di
un uomo al di fuori della natura, che si ritiene abbia un
potere di dominio su tutte le cose naturali, che si
considera padrone di se stesso e, al tempo stesso, padrone
dell'universo.
Spinoza non accetta di formulare, come Cartesio, un progetto
faustiano o prometeico, di dominazione della natura.
Per Spinoza partire dal libero
arbitrio significa porre l'uomo al centro di tutto,
significa considerare la coscienza, il rapporto immediato
col corpo, il rapporto non riflesso con se stesso, come un
principio, ignorando che quel tanto di azione, attività, che
si attribuisce all'uomo, ha senso soltanto se si capisce
cosa la determina, cosa la produce come effetto.
Non può esserci liberazione dall’idea di una "causalità
umana" se non con la comprensione della necessità.
Da questo punto di vista, Spinoza è uno di quei pensatori
che, prima di Hegel, prima di Marx, svilupperà l'idea che la
libertà non può essere altro che la
"comprensione della necessità"
e che, di conseguenza, il nostro rapporto spontaneo con
l'essere, il rapporto nel quale pensiamo di avere il dominio
delle cose, il libero arbitrio, deve essere criticato in
quanto rapporto immaginario con la realtà.
La critica a questa idea del libero arbitrio non implica la
radicale svalutazione delle nostre percezioni, dei
sentimenti, della sensibilità. Significa che si deve
approfondire il nostro rapporto con il mondo per arrivare
veramente a formarci un'idea adeguata del nostro posto in
esso, della nostra stessa struttura naturale.
La scienza e la filosofia
Per Spinoza, la finalità, il libero arbitrio, la coscienza,
sono l'illusione costitutiva dalla quale bisogna staccarsi
per lasciare posto alla scienza e alla filosofia.
Bisogna comprendere il sistema relazionale che individua e
distingue l’uomo e, partendo da questo, costruire, produrre,
in base alle nostre possibilità e condizioni, sistemi di
vita adeguati per appropriarci dell'essenza delle cose. Tali
sistemi adeguati sono anche degli schemi per intervenire ed
operare nel mondo, il che ci permette di procurarci le cose
di cui abbiamo bisogno, di costituire le reti della
comunicazione e le basi della comunità.
In Spinoza è dominante l'idea che la conoscenza non sia mai
conoscenza pura, che non esista una gnoseologia pura, in
quanto questa si costruisce sempre sul fondamentale elemento
del "rapporto col mondo", su quelle che possiamo chiamare
"forme di vita" preconoscitive, sul rapporto immediato,
esperienziale con le cose, prima dell’intervento della
critica e della formazione di idee "adeguate".
È quella che Spinoza definisce
conoscenza del "primo tipo", la quale è legata ad un
grado minimo di realizzazione del nostro desiderio
d'esistenza, del nostro conatus essendi, ovvero dello sforzo
per l’autoconservazione nell'essere.
In questo caso, l’uomo è legato ad una situazione di
passività, di eteronomia e di condizionamento, è parte
passiva della natura, parte prodotta piuttosto che
produttiva e attiva, e si trova quindi nell’impossibilità di
realizzare le proprie capacità.
C'è uno sviluppo parallelo della conoscenza e della capacità
di vivere ed agire, nonché della vita affettiva, poiché ciò
che corrisponde ad una conoscenza del primo tipo, cioè ad
una situazione di passività del nostro corpo, dal punto di
vista della vita affettiva è realmente un'esperienza nella
quale il nostro potere d'esistere è sminuito, è dominato dal
potere delle cause esteriori.
Emerge, in questa situazione, il sentimento negativo per
eccellenza, che tutto il pensiero materialista
rifiuta: la tristezza, il dolore,
la sofferenza.
Spinoza individua una specie di "storia modale" all'interno
della sostanza infinita. Questa storia, rispetto alla
totalità della natura-sostanza, è parziale, "interna". È nel
suo corso, attraverso diverse modalità, che l’uomo può
giungere alla formazione di idee adeguate e diventare, in
certe condizioni e sotto certe forme, "ragionevole".
Diventare ragionevoli non
significa semplicemente comprendere la legge delle cose,
comprendere i rapporti di reciproca appartenenza delle cose,
ma significa anche dare al nostro corpo la possibilità di
estendere le relazioni con altri corpi, di partecipare ad
una natura comune; non esiste un dominio dell’uomo
nell'appropriazione delle cose della natura.
Si pone, a partire da qui, il problema dell'associazione e
della comunicazione con i corpi che ci somigliano, con altri
corpi umani; questo implica, sul piano affettivo, la
possibilità del passaggio dal sentimento della tristezza a
quello della gioia, della trasformazione dei rapporti di
eteronomia, di dipendenza, di schiavitù, in uno
stato di liberazione, che è
tale sempre e soltanto all'interno e per mezzo della
necessità.
L'antropologia spinoziana.
L'antropologia spinoziana parte dall’idea che la sostanza
infinita, che è Dio o la natura, contiene effettivamente
un'infinità di attributi.
Degli attributi di un’identica sostanza, noi però ne
conosciamo soltanto due: l'estensione della materia, e il
pensiero. E quello che sembrerebbe un ritorno a Cartesio, il
“cogito ergo sum”, in Spinoza si traduce di nuovo in uno
sviluppo della definizione dell’"essenza dell'uomo".
Infatti, se della sostanza “uomo” conosciamo solo due
attributi, (l'estensione della materia e il pensiero), noi
umani siamo costituiti dall'unità di due modi finiti di
questi attributi sostanziali: siamo un corpo e, d'altra
parte, siamo lo spirito.
Spinoza dice che lo spirito dell'uomo, cioè l'anima
dell'uomo, è “l'idea del corpo”. Quindi l'individualità
umana è unità delle modificazioni della sostanza (attributi
estensione e pensiero).
Spinoza non indaga i rapporti di reciproca influenza tra
corpo e spirito, le interazioni tra corpo e anima, cioè come
l’uno influenza l’altro.
Noi non siamo che corpo, ma abbiamo un'idea di quel che
accade nel corpo.
È a partire da questa idea che ci si può mettere in cammino
per passare da un primo ad un secondo tipo di conoscenza.
Una conoscenza primaria, che Spinoza colloca in questo
quadro, deriva dalla strutturale corrispondenza dell'ordine
e della connessione delle cose, con l'ordine e la
connessione delle idee.
Quello che è un principio generale per comprendere la legge
dell'essere vale anche per l'uomo.
Dall'immaginazione alla ragione, dal dominio delle passioni
negative, (tristezza e dolore), e dal condizionamento
dell'ambiente esterno, ad un rapporto "positivo" che
consente di appropriarsi o di trasformare questo stesso
mondo esterno.
La potenza.
Nell’ambito dell’antropologia spinoziana si produce la
potenza.
La potenza, “potentia”, è il fondamento dell'etica.
Per comprenderne il significato bisogna risalire in primo
luogo alla definizione che Spinoza dà della struttura
costitutiva dell'uomo, approfondire l'antropologia
spinoziana..
La potenza della natura, che per noi uomini si esprime nelle
due forme della materia e del pensiero, diversamente
definite, ma unite, significa che la potenza si esplica come
espressione, insieme, della potenza del nostro corpo e
potenza del nostro spirito.
La potenza del corpo è la capacità di agire, cioè di
produrre esteriormente azioni ed operazioni delle quali
siamo responsabili, le quali possono davvero venirci
attribuite. E se il nostro corpo può agire, il nostro
spirito può pensare adeguatamente alle cose, al nostro
stesso corpo.
|
Da questo punto di vista, così come ha introdotto la materia
in Dio e "divinizzato" l'estensione, ovvero la materia,
Spinoza rivaluta la dimensione del corpo. Egli eleva un
"inno alla corporeità": non al corpo esaltato come potenza
assoluta, ma al corpo dell'uomo che è innanzitutto il corpo
del lavoro, della fatica, della sofferenza e che può
diventare il corpo della gioia, della soddisfazione.
Questo doppio registro della potenza del corpo e della
potenza del pensiero costituisce la chiave del problema
etico.
Infatti, la morale di origine religiosa disprezza il corpo,
non prevede la possibilità della liberazione delle sue
capacità, non sa in fondo neanche cosa sia.
Spinoza conferisce una nuova potenza allo spirito
riconoscendo lo statuto fondamentale della corporeità.
E infatti egli spiegava che le due potenze sono uguali, quel
che accade nel corpo non può contrastare lo spirito, se lo
spirito lo comprende, così come quel che lo spirito
comprende non può non liberare le potenze del corpo.
Ma se tra la materia e il pensiero vi è apparentemente
un'equivalenza, in realtà sembra determinarsi un leggero
squilibrio tra i due statuti, perché bisogna sempre, in
primo luogo, far riferimento al corpo. Lo spirito può
produrre idee adeguate, soltanto perché esso è,
fondamentalmente, l'idea del corpo. In questo senso si
potrebbe dire che la teoria spinoziana mostri un’incertezza
nel procedere del ragionamento circa l’uguaglianza delle due
teorie, una delle quali, l’elemento materialistico, sembra
prevalere sull’altra.
Echi di misticismo.
L'ultimo libro dell'Etica, il libro V, presenta un terzo
tipo di conoscenza e forse anche un terzo "modo di vivere" e
questo complica l’interpretazione del pensiero di Spinoza.
Questo terzo stadio della conoscenza perfetta e adeguata, è
caratterizzato dalla scienza intuitiva di Dio e dalla
beatitudine.
Il fatto che Spinoza parli dell'amore che Dio dovrebbe avere
per l'uomo, è a prima vista in contrasto con la definizione
di Dio, che viene data nel I libro dell’Etica, un Dio
definito sostanza unica, infinita, o natura. Questa visione
esclude la possibilità di concepire Dio come persona, e
quindi come dotato di sentimenti.
Però non si può arrivare a parlare di misticismo di Spinoza,
come da qualche parte è stato suggerito, senza prima
approfondire che cosa sia veramente la scienza intuitiva.
La scienza intuitiva è la conoscenza dell'essenza singolare
di un corpo, o di molti corpi, è l'essenza singolare della
stessa conoscenza; e non ha perciò alcunché di misterioso o
di trascendentale.
Mentre la ragione scopre le relazioni generali che legano le
cose, che le fanno sussistere insieme, la scienza intuitiva,
come forma di conoscenza superiore, è quella che ci permette
di cogliere, nell’insieme di relazioni, un elemento nella
sua particolarità.
Da questo punto di vista Spinoza si contrappone ad
Aristotele, in quanto afferma l'esistenza di una "scienza
del particolare". Ciò vuol dire in fondo che la conoscenza
completa è l'unità della ragione e della scienza intuitiva.
È l'unità della comprensione delle relazioni comuni che
legano tutti gli esseri, i corpi e gli spiriti, e insieme,
essendo compiuta da uno spirito, della conoscenza singolare.
Inoltre, poiché questo tipo di conoscenza si riflette su se
stessa, produce quel sentimento di gioia che l’uomo prova
quando, conoscendo una cosa particolare, un modo della
sostanza, si rende conto di conoscere meglio Dio.
Dire che Dio manifesti un amore per noi, non è altro che una
maniera per dire che, in un certo momento, nel tempo,
abbiamo potuto, grazie alla conoscenza di una cosa
singolare, assumere un elemento di potenza attiva; un
elemento di potenza attiva che appartiene alla sostanza, è
nella natura.
È quindi l'obiettività dell'esperienza soggettiva di
conoscenza che Spinoza ha intenzione di analizzare. Quando
dunque conosciamo davvero le cose singolari, facciamo un
passo avanti nella conoscenza e si può dire allora,
metaforicamente, che Dio ama se stesso: ciò significa che
abbiamo veramente raggiunto la conoscenza obiettiva.
Comunque, il libro V dell'Etica, forse non ci ha ancora
svelato tutti i suoi segreti, ed è legittima una sua
interpretazione laica ed immanentistica.
Spinoza vuole esaminare semplicemente l'efficacia della
conoscenza, il vantaggio che ne ricaviamo nella capacità di
agire e di pensare. Egli dice che, attraverso tale
conoscenza sub specie aeternitatis, noi che siamo esseri
prodotti nel tempo finiamo per "coincidere con noi stessi",
partecipiamo in qualche modo dell’eternità.
Uno degli elementi filosofici più straordinari del libro V
dell'Etica è il rifiuto radicale dell’idea dell'immortalità
dell’anima. L’intera nostra vita si sviluppa nel tempo, la
nostra vita è la vita del nostro corpo, quindi tutto si
svolge sul piano, "laico", della conoscenza.
Noi abbiamo, in funzione della nostra capacità di agire e di
pensare, la proprietà di poterci "rendere eterni" nel tempo
e, da questo punto di vista, si può dire che sfuggiamo alla
morte.
Sfuggire alla morte non significa però conquistarsi
un’esistenza futura. L’uomo, il suo corpo, non esisterà più.
Ma mediante la conoscenza adeguata, perfetta, eterna, di sé
e del corpo, scopre la sua esistenza, la sua mente, come
"effetto" dell’eterna sostanza, cioè di Dio.
Spinoza sembra andare fino in fondo nel suo razionalismo in
quanto ripensa i problemi fondamentali della metafisica e ne
cerca una soluzione radicale, al di là delle risposte delle
religione tradizionale.
E ci lascia, comunque, con un orizzonte ancora tutto da
indagare.
Il rapporto tra Ragione e
Passioni.
L’etica di Spinoza è stata interpretata come una "teoria
geometrica delle passioni", una definizione che non è però
negativa.
La spiegazione razionale delle passioni, chiamata
"geometria", ci fa accedere alla realtà del pensiero, alla
dimensione della ragione dell’uomo. Anche questo è un
elemento nuovo non tanto e non solo rispetto a Cartesio, ma
rispetto alla Scolastica o all'era antica).
La caratteristica specifica dell'uomo, che viene prodotto
attraverso la sostanza, è di essere un corpo congiunto ad
un’anima, ad una mente. Spinoza cerca di analizzare il modo
in cui le passioni si strutturano all’interno dell’uomo e
come, a partire da queste, la nostra natura sia in grado di
determinarsi in forme diverse e sempre più evolute.
Nella teoria delle passioni si osserva come la struttura
specifica dell'uomo si costituisce all'interno della teoria
della natura.
Il primo stadio è quello del "desiderio", della forza con la
quale ci conserviamo nell'esistenza, che non è ancora
condizionata dalla ragione. Questo desiderio ci lega alla
natura, a noi stessi, secondo due modalità fondamentali:
nella prima l’uomo incontra cose che si accordano con
l'essenza del suo corpo. Si tratta allora di un rapporto
"positivo" che suscita passioni gioiose; il sentimento di
gioia è una passione attiva, è un movente della dinamica
delle passioni.
Se invece incontriamo corpi che non sono in armonia con noi,
che alterano l’equilibrio interno alla nostra persona, lo
mettono in pericolo o lo distruggono, allora realmente
proviamo un sentimento che sminuisce il nostro senso
dell'esistenza, proviamo tristezza.
Gioia e tristezza sono dunque le due modalità fondamentali
della vita passionale, a partire dalle quali Spinoza
definisce tutto il mondo delle passioni.
Quella di Spinoza è una maniera assolutamente laica di
elaborare una teoria normativa dell'uomo, un uomo che
dovrebbe cioè essere in tutto e per tutto padrone della
propria vita, a partire dal dominio del desiderio fino
all’esercizio della ragione.
Nell'antica teoria platonica si pongono in un rapporto
gerarchico le diverse facoltà dell'uomo: il desiderio
costituisce la parte inferiore della natura umana, sopra
alla quale si trovano la sua dimensione etico-politica e
quella teoretica.
Spinoza delinea invece un’indagine sulla natura umana sempre
nell’ambito delle sua effettiva esistenza nel mondo, e non
in una prospettiva idealizzata; bisogna innanzitutto
analizzare l'uomo così com'è e non sostituirlo con una
astratta immagine ideale.
L’intento di Spinoza è di mostrare come la vita passionale,
gradualmente, si trasformi in vita razionale. E questo è
estremamente importante, perché la vita razionale non si
determina in base alla ragione intesa come un'istanza
trascendente, facoltà autonoma e autosufficiente, o
presupposto trascendentale: c'è una certa genesi della vita
razionale, che si struttura a partire da ciò che la precede,
a partire dal desiderio.
La ragione non è l'"antagonista" del desiderio, non è
l'inverso o la negazione delle passioni fondamentali: la
ragione, in realtà, è una "trasformazione" del desiderio.
In Spinoza si intravede una teoria quasi materialistica
della ragione: per definire la ragione, bisogna pensare alla
spontaneità di uno spirito che pensa idee adeguate, e,
poiché lo spirito è l'idea del corpo, ciò significa in
realtà pensare adeguatamente il corpo.
La vita razionale è anche la vita del corpo liberato dalla
passività, dall'eteronomia, dal condizionamento esteriore.
La vita razionale ha quindi una dimensione intrinsecamente
"fisica" e si manifesta con uno specifico sentimento che,
per Spinoza, è l’originario sentimento filosofico: la gioia.
L’importanza accordata al sentimento della gioia si pone
controcorrente rispetto alla secolare speculazione sul senso
angoscioso della morte, al culto delle passioni tristi, al
disprezzo per la vita e i piaceri di questo mondo,
all'aspettativa infelice di una vita nell'aldilà.
Per Spinoza fondamentale è seguire lo sviluppo delle
capacità del nostro spirito, capire il suo posto nel mondo,
la capacità del nostro corpo di conquistare i gradi
superiori della sua “potentia”.
Di conseguenza, l'etica non è una 'liberazione dalle
passioni', ma un "controllo della vita passionale" che
sostituisce le passioni negative con quelle passioni
positive, gioiose, che mettono in armonia con il mondo.
Questa prospettiva è probabilmente ciò che può far
presentare Spinoza come un moderno materialista. L'"ideale
del controllo", presente nella teoria spinoziana, non è
interpretabile come aspirazione al dominio sulla natura.
Non si tratta di metterci al posto di Dio, di coincidere con
il processo della totalità, ma si tratta di potenziare la
nostra "finitezza".
L'uomo di Spinoza non è animato dalla "volontà di potenza"
all’interno di una natura ostile, che contrasta la sua
realizzazione; ma ha invece in sé la possibilità di
stabilire una comunicazione profonda, positiva, con questa
natura, senza chiudersi nell’idea di una propria assoluta
debolezza o potenza.
L’etica del controllo, cioè l'etica della liberazione
attraverso l'intelligenza, è esattamente l’opposto
dell'etica della volontà di potenza e del dominio sul mondo.
Questo fa di Spinoza un moderno, critico di certi aspetti
negativi della modernità. |
Saggezza e Passioni.
L’uomo non riuscirà mai a vivere esclusivamente all'insegna
della ragione.
Spinoza descrive nell'Etica diversi tipi di esistenza.
Il tipo di vita della schiavitù, dominato dalle passioni
tristi, dall'immaginazione, da una conoscenza inadeguata.
Egli conclude l'Etica evocando la bellissima ed antica
figura del saggio, che rappresenta la liberazione del corpo,
il passaggio dell’uomo alla dimensione in cui il corpo può
produrre. Questo saggio che ha la possibilità di conoscere
se stesso, di conoscere i corpi e il loro rapporto
reciproco, il rapporto del proprio corpo con i corpi degli
altri, è però una figura dai tratti idealizzati. Spinoza,
che non è uno stoico, non ha mai detto che questa saggezza
possa essere acquisita da qualcuno una volta per tutte. In
questo caso infatti si tornerebbe alla teoria antichissima
del passaggio definitivo dalla vita delle passioni, o del
desiderio, alla vita della ragione.
L'etica, o piuttosto il processo dell'"eticizzazione",
infatti, non può essere inteso come l’instaurazione di uno
stato, irreversibile, di pura razionalità.
La condizione umana resta rinchiusa in una dimensione
finita: l’uomo ha la propria essenza e la propria mutevole
esistenza nel sistema delle interrelazioni che lo legano
agli altri corpi.
La vita umana è "modale" e di conseguenza implica una
dipendenza che non può mai essere superata; per questo
motivo l'uomo, compreso il saggio, rimane tutta la vita
soggetto alle passioni.
L’uomo può costruire, partendo da se stesso, dei sistemi di
controllo delle sue passioni e del suo rapporto con la
natura, ma non può acquisire la saggezza una volta per
tutte.
Nulla esclude che, in un certo momento della storia
individuale o collettiva, anche il saggio finisca per essere
nuovamente coinvolto nel mondo delle passioni.
Non si deve interpretare la teoria spinoziana dei diversi
generi di vita come una teoria che implichi una necessaria,
irreversibile, successione di stadi diversi.
Se si facesse così, si potrebbe realmente vedere in
Spinoza una specie di teorico della natura che pensa alla
possibilità di una storia, come fa la filosofia illuminista,
in termini di passaggio dalla barbarie e dalla schiavitù,
alla vita governata dalla ragione.
Spinoza non ha sviluppato una teoria storica o storicizzante
dei modi di vita. La concatenazione dei modi di vita non si
svolge in modo univoco nel corso del tempo.
La storia non può essere che "ideale". Essa può essere
pensata come una storia individuale in cui vi si apre per
l’uomo la possibilità di passare realmente dalla passività
all'attività, ma senza alcuna garanzia, alcuna certezza
definitiva.
Da questo punto di vista si potrebbe dire che vi è,
all'interno del mondo e della natura, la possibilità di una
storia "particolare" per l'uomo, definita dal processo di
eticizzazione. Ma questa storia non è governata da un
principio. Spinoza imposta una teoria della storia senza
garanzie teologiche.
La teoria dei modi di conoscenza e di generi di vita indica
la precarietà della condizione umana e la necessità che
abbiamo, ogni volta che si sia verificato un regresso, di
ricominciare a liberarci dalla passività, di ripercorrere il
processo etico.
Questo processo si ripete in modo indefinito, ogni qualvolta
l’uomo tende a superare la sua condizione di schiavitù.
Etica e politica.
Etica e politica sono irriducibili l’una all’altra.
La politica ha una sua specificità e un suo statuto di
autonomia.
Nonostante ciò, in Spinoza etica e politica si connettono in
un rapporto ben definito.
L'etica spinoziana si presenta come una teoria della
concatenazione sincronica dei modi di vita, dei modi di
pensiero, delle possibilità di realizzazione, immanenti alla
natura umana, al di fuori di ogni prospettiva teologica.
Spinoza analizza il possibile "percorso" dell'uomo che si
autodetermina in senso etico. Da questo punto di vista, è
evidente che proprio in conseguenza delle differenti
condizioni umane - ognuno nasce in un paese, in un luogo
determinato, è erede di una certa storia, è sottoposto a
certi sistemi di relazioni che solo in alcuni casi gli
consentono di realizzare le proprie capacità - non può
esservi, nello stesso tempo, una liberazione etica di tutti.
Di conseguenza, questo processo agisce nella singolarità di
un’esistenza individuale.
L'etica offre una possibilità all'umanità intera; ma non dà
alcuna certezza del fatto che questa possibilità si realizzi
per la totalità degli uomini. Anche da questo punto di
vista, Spinoza si trova al di fuori delle prospettive
tradizionali.
Nell’antica concezione etico-politica il saggio poteva
trovare la salvezza a prescindere dalle condizioni della
vita pubblica. Qualsiasi fosse lo stato della città, questi
poteva trovare il modo di sviluppare le sue capacità, mentre
la moltitudine, con le sue passioni, rimaneva una figura
negativa.
Per Spinoza la realtà della situazione umana è quella della
concreta vita nella comunità. La politica designa il luogo
concreto del confronto, dell'associazione dei desideri
umani. Essa ha quindi un'autonomia poiché, se c'è
liberazione con l’etica, questo non significa liberazione
dalla politica, l'uscire al di fuori della politica.
Questo significherà, invece, il manifestarsi di una
coesistenza del saggio con il popolo, in una situazione,
tutta politica, in cui colui che si suppone abbia acquisito
il controllo razionale di se stesso e la convivenza ideale
con la natura, coagisce con coloro che questo stato ideale
non l'hanno raggiunto, e che sono perciò ancora ostacolati
dalle passioni. Nel loro percorso verso la saggezza .
Da questo punto di vista, la politica assume un'importanza
straordinaria poiché, anche se non è mediante questa che si
compie la totalità del processo etico, la sua influenza su
tale processo è decisiva, si può dire che ne è il cuore e la
condizione fondante.
Quindi, il saggio non può pensare di uscire dalla dimensione
della politica per ridursi in una dimensione di eremitaggio.
L’uomo libero deve vivere nella città. Spinoza è distante da
Aristotele, il quale ritiene possibile contemplare la
struttura del mondo e dell’esistenza umana, al di fuori del
"tumulto degli affari umani".
Il complesso dei rapporti sociali, politici, è la realtà
stessa dell'esistenza umana. La politica assume quindi in
Spinoza una notevole importanza, testimoniata anche dal
fatto che la sua ultima opera, rimasta incompiuta a causa
della sua morte, è un trattato politico.
Il luogo del concreto sviluppo dell'esistenza umana, e
quindi il luogo della politica e dell’economia, è quello in
cui gli uomini sono associati naturalmente, e quindi proprio
quello della prassi politica quotidiana, elemento
fondamentale anche per la costruzione del mondo etico.
Gli uomini, soggetti alle passioni, cercano la propria
utilità e vedono ciascuno nell'altro un concorrente. Ma
essi, secondo Spinoza, sono anche in grado di capire come il
rapporto competitivo non esclude affatto la possibilità di
collaborazione tra gli uomini, anzi questi ne è una parte
costituente.
La politica, di conseguenza, è strutturata sulla base di due
principi contraddittori: uno per il quale gli uomini, nella
loro egoistica ricerca dell'utile, si affrontano ed entrano
in conflitto tra di loro, l’altro per il quale gli uomini
collaborano per garantire la proprietà e la sicurezza
reciproca, mettendo in comune parte della utilità acquisita.
Da questo punto di vista, Spinoza è un pensatore critico del
liberalismo, per il quale il principio di associazione,
secondo cui è possibile formulare l'idea di un bene e di un
interesse comuni, contrasta con il principio
dell'appropriazione esclusiva.
Tutto il problema della politica è allora quello di far
coesistere uomini che sono naturalmente mossi da questi due
principi contraddittori, per evitare che il corpo civile e
sociale si disgreghi.
È su questo terreno che Spinoza cerca di fondare l’autonomia
della politica. Una autonomia che però non fonda la politica
della ragione, così come non rappresenta un'utopia
razionalista.
Il razionalismo di Spinoza è un razionalismo critico delle
illusioni e delle ambizioni smisurate di un certo tipo di
filosofia, è un razionalismo ragionevole, senza ambizioni
totalizzanti.
Il problema politico è quello di capire le leggi
dell'associazione dei corpi e di trovare i meccanismi che
permettano a questi corpi di formare un corpo unico, un
corpo come totalità "armonica".
L'interesse etico, infatti, è un interesse per la
liberazione dei corpi, mentre l'interesse politico riguarda
la composizione e la coesistenza dei corpi.
Diventa possibile allora mettere a punto una politica che
abbia una forza costruttiva, e mediante questa definire le
strutture e le regole della convivenza civile tra gli
uomini.
In questa prospettiva Spinoza fornisce un contributo
notevole; egli supera il liberalismo del diciassettesimo
secolo e si presenta come uno dei primi teorici della
democrazia.
Egli ritiene che l'obiettivo da realizzare per consentire
agli uomini di vivere insieme, di collaborare anche
all'interno di situazioni conflittuali, non riguardi
soltanto la sicurezza.
È la libertà che, oltre alla sicurezza, rimane lo scopo
immanente di un organismo politico. Ed ecco perché, mentre
Hobbes individua una forma di sicurezza che ha come
conseguenza la rinuncia dell'individuo alla propria libertà
di pensiero e azione, Spinoza vede nell'opinione pubblica e
in questa stessa libertà, il regolatore fondamentale delle
istituzioni democratiche.
Anche individui passionali, che non hanno una cognizione
chiara e ragionevole di ciò che per loro è utile, possono
accordarsi su un'istanza politica che permetterà loro di
esprimersi, di soddisfare i propri bisogni.
A partire da qui, Spinoza immagina un sistema, un "circuito"
di relazioni tra gli uomini, che darà vita ad uno Stato ed
alla regolazione del corpo politico, finalizzati alla
libertà oltre che alla sicurezza.
In queste condizioni, la democrazia rappresenta, all'interno
della vita politica, il miglior mezzo che possono sfruttare
gli "uomini passionali" per conquistare, quasi loro
malgrado, contro le loro stesse intenzioni, una qualche
autonomia.
Mentre il saggio acquista una capacità di agire e di pensare
da sé, e, all'interno di una condizione di finitezza,
diventa "causa sui", per quanto riguarda invece gli altri
uomini è la democrazia che permette loro di evolversi
associandosi tra loro.
In ultima analisi, per Spinoza, se la liberazione dalla
paura è l'obiettivo fondamentale d'una filosofia
materialista, allora, quando si entra nel campo della
politica, tale filosofia deve liberarci anche dalla paura
che abbiamo gli uni degli altri, dalla paura che abbiamo del
potere o che il potere ha di noi.
È quindi il tema della paura e quello della ricerca di una
giusta e controllata "composizione dei corpi" che
costituisce il centro unitario del pensiero etico-politico
di Spinoza.
In esso c'è, in definitiva, un fondamentale legame tra
panteismo e democrazia, che ne fa davvero un pensatore fuori
dal comune.
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