I giovani nutrono in sé un sacro fuoco che li fa pensare immortali.
È questa la molla potente che li porta a
immaginare mete lontane
e
aspettative di stabilità e definitività.
Questo stato d'animo,
che pure non mi mancava, è venuto meno a 16 anni,
in seguito ad un'improvvisa disavventura conclusasi con un
radicale intervento chirurgico
con cui mi è stato asportato un tre quarti di stomaco.
Che tutto si sia risolto per il meglio, nonostante gli innumerevoli
"effetti collaterali",
lo dimostra il fatto che ne parlo dopo oltre 50 anni.
Lo scampato
pericolo, però, mi ha lasciato molto scettico rispetto alle "Grandi
Speranze",
(le "Great Expectations" del grande Dickens!).
Da qui una consapevolezza di
transitorietà, durata oltre un decennio, in cui, allontanata ogni
certezza,
cancellate per lungo tempo le grandi mete, la visione del mondo ne è
uscita molto più concreta e ondivaga.
Non più il centro nella certezza
della proprietà, del territorio, della legge, della fede, e, se
vogliamo, della ideologia,
cioè non una vita vissuta
all'interno di un
reticolato fissato da certi confini,
ma invece libera di
spaziare tra i due punti focali del "cielo
stellato" e della "legge morale", di Kantiana
memoria,
che rappresentano gli estremi
dell’arco in cui si sviluppa la tensione della vita.
Non che questo abbia significato un vagabondare anarchico.
Alcuni punti
fermi sono stati conquistati,
perchè senza un terreno stabile e sicuro non si edifica niente.
Ma questo non è stato sufficiente ad immobilizzare l'esperienza,
come accade quando l'esistenza
è troppo
ben
programmata, e viene solo appena sfiorata dagli accadimenti
che gli passano accanto senza lasciare traccia.