Invidia: una brutta compagna.
L'invidia è il non riconoscere la superiorità di un altro
perché non si accetta che qualcuno possa essere superiore a
noi.
Non vorrei nessuno al di sopra di me.
Quindi l'invidia è la nemesi della superbia e proprio in quanto
condizionata da questo aspetto punitivo, essa non è mai
dichiarata.
L'invidioso non dice di essere invidioso, perché se solo lo
dichiarasse, indirettamente riconoscerebbe di valere di
meno.
Fra i vizi, l’invidia ha questa caratteristica singolare: è
un vizio che, oltre a non essere dichiarato, non dà
soddisfazione.
Infatti l’invidia provoca un sentimento che tortura.
Nella lussuria c'è piacere, nella gola c'è piacere, in
genere in tutto il mondo del vizio c'è un piacere (sbagliato
e transitorio perché altrimenti non sarebbe vizio), ma c'è
un piacere. Non nell’invidia.
L'invidia poi si trasforma in odio, in voglia di distruzione
di ciò che è migliore di me. Da questo punto di vista
l’invidia diventa una potente arma di distruzione, perché
non solo si vuole distruggere l’oggetto, ma se ne vorrebbe
persino cancellare la memoria, perché anche l'ombra può
tornare.
L'invidia si può contrastare.
Se scegliamo modelli alti, se ci cimentiamo con cose grandi, noi
percepiamo la distanza che c’è tra noi e la figura presa a
modello, e così non si cade nella mediocrità dell'invidia.
Essere virtuosi significa anche cercare di portare
all’estremo questo confrontarsi. Solo così si arriva a
trovare la nostra giusta misura. E non solo non saremo
invidiosi della superiorità del nostro modello, di chi è più
grande di noi, ma gli saremo riconoscenti e grati. Non si
invidia Aristotele, si può invidiare il collega di lavoro.
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In altra
parte si è visto che vizi e virtù hanno una stessa
radice.
Ora è chiaro che il vizio è un elemento di
distorsione, però non dobbiamo dimenticare che alla base del
vizio c'è pur sempre una potenza. E quindi il vizio può
presentarsi ambiguo nel senso che se aggiustato, corretto,
può essere riportato nell'alveo del bene.
Prendiamo l'invidia che non riconosce ciò che è superiore, e quindi
è odio e distrugge. Ma correggiamo un po' il sentimento
dell'invidia, e mettiamolo in questa forma. Io vedo il
successo di qualcuno, mi domando: se lo è meritato? Le
condizioni di partenza tra me e lui erano uguali?
A questo punto la domanda diventa una domanda di giustizia,
non è più invidia.
Allora interrogarsi sulla legittimità di
un successo non è atteggiamento invidioso.
Non riconoscere
la qualità del successo è un atteggiamento invidioso.
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