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Giancarlo Sacconi

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Uscire di scena

Può sembrare un lusso parlare di come morire, mentre assistiamo nel mondo a morti violente, a stragi, ad assassinii, a morti per fame
Ma non è un lusso. Perché parlare di come morire significa parlare della dignità della morte, e dunque della dignità della vita e dell 'uomo.

La riconciliazione con il limite.

Noi viviamo all'interno di limiti che ci vengono dalla nascita e ci accompagnano quotidianamente. Limiti, che sono poi il tempo, lo spazio, gli altri, il nostro corpo. È lì che l 'uomo diventa se stesso, ed esprime la sua soggettività e può davvero dare un senso alla vita. Il discorso della morte, cioè del limite ultimo, pone l 'accento sulla vitalità dei limiti, che sono il vero spazio della vera libertà. L’intolleranza verso il limite, il non accettare il limite, significa alimentare sogni di onnipotenza che manifestano poi la loro valenza distruttiva.
Per questo la riconciliazione con il limite è essenziale.


Prepararsi alla morte?

Da sempre nell 'Occidente, per i cristiani, per i pagani, per i filosofi stoici e per Agostino, la morte è quella certezza che consente all'uomo di dare un senso al proprio vivere, di orientarsi nel vivere.
L 'esercizio del prepararsi alla morte è sempre stato visto nello spazio sia cristiano sia filosofico come un interrogarsi sulla morte, come un prendere sul serio questa certezza, per poter provare la preziosità della vita, per poter provare ciò che è veramente serio nella vita, vale a dire un esercizio del meditare, dell 'avere presente la morte proprio per vivere in modo virtuoso. Se si perde il senso della morte si perde la bussola del vivere, la bussola del muoversi nel mondo.

Eppure, ci sono stagioni della vita in cui la vitalità esplode, in modo più o meno cosciente, anche sfidando i limiti . Si potrebbe dire che non ha vissuto chi non ha avuto la fortuna di poter liberare la propria prepotente voglia di "vivere". Quale triste condizione sarebbe per un uomo quella di un ripiegamento precoce nella meditazione sui limiti! Come potrebbe mai quell 'uomo assaporare passioni incendiarie, a cominciare da quella amorosa!

La vita monacale non può essere il massimo degli obiettivi. Una meditazione sulla morte, se si ha la fortuna di poterla avviare, non dovrebbe riguardarci prima di un tempo normale, o di un tempo dovuto o di un tempo opportuno.

Perché, come dice l 'Ecclesiaste:
"Per ogni cosa c 'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo"


La morte dignitosa.

Altro è invece il diritto di ognuno di potersi assicurare una morte dolce, dignitosa, e, se malato, di poter avere ogni aiuto per dare senso agli ultimi giorni. E questa è una delle priorità che dovrebbe assumere la "politica".

Non si può vivere senza invecchiare, non si può vincere la morte con la tecnica, non si può prolungare indefinitamente la vita, ma se la tecnologia allunga la vita individuale, PERCHÉ NO! Pretestuose sono alcune posizioni riguardo alla tecnica, solo perchè a beneficiarne è il singolo individuo (e come potrebbe essere diversamente), e non “la società”, “l’uomo universale”, e così via.

La bella morte.

La situazione, per così dire, ideale sarebbe il raggiungimento di una condizione di serenità, da far maturare nella cura di tutti i giorni.
Lasciare ai propri cari la visione di un sorriso, pur nella possibile sofferenza, nell 'ultimo saluto.

La bella morte è una morte che consente ad una persona di avere l'agio e il tempo di dettare le ultime volontà, di regolare le ultime questioni, di dire addio, di salutare, di regolare le questioni economiche.

Meglio un allungamento della vita che aiuta a prendere coscienza, piuttosto che un desiderio, questo abbastanza discutibile, di una morte legata ad un evento improvviso e di cui non si fa nemmeno in tempo a rendersene conto.

La coscienza umana deve integrare questa incertezza, questa angoscia e questa presenza della morte
 


Se la tecnologia diventa un feticcio.

Si può dire che oggi non si muore più, ma si muore di qualche cosa. E se si muore di qualche cosa, l 'accento è posto sulla causa, allora si può intervenire, e se si può, allora si deve intervenire.

A quel punto la morte viene ridotta ad una sorta di ultima malattia, e potrà essere sconfitta con il progredire delle tecnologie.

Ora, se tutto ciò si muove nell’ambito di un’accettazione del limite, ben venga la tecnologia, che aiuta a vivere più a lungo.

Pensare ad una vita più lunga è del tutto naturale, ma un po ' meno lo è sognare una vita prolungata indefinitamente, fondando la propria fiducia sulle tecnologie biomediche, viste come idoli salvavita. Non bisogna mai dimenticare che si può morire per incidente, errore, catastrofe.

Può esistere un diverso modo di interrogarsi, ma tutti ci troviamo di fronte all’enigma del morire, al desiderio di non soffrire o veder soffrire, di vivere al meglio, fino all’ultimo, la propria vita.