Dr Raffaello Setteposte
Da piccolo mi
affascinava quel nome: Raffaello. Non Raffaele come si
usava. Aveva una voce morbida, sdrammatizzante. Poiché le cose che cercava di spiegare, erano spesso difficili da far “digerire” ai pazienti, vi aggiungeva sempre un pizzico di ironia bonaria, per tranquillizzare. Era questo il suo modo preferito di esprimersi, ma sapeva diventare improvvisamente serio, quando necessario. Credo che l’unico medicinale che mi abbia prescritto, oltre agli antibiotici, sia il “Litrison” un innocuo complesso vitaminico che” aiutava” il fegato, di cui lamentavo un improbabile malfunzionamento. Ero io a richiederlo periodicamente. Lui mi accontentava. Un bel giorno reiterai la richiesta. Usciva dal Bar Trancanelli dopo una visita. Mi guardò e con fare deciso mi prescrisse, anziché il “Litrison”, un nuovo farmaco: “Essenziale forte”. Chiesi spiegazioni. E lui: “Giancarlo, ce l’hai presente la Topolino? Ecco: “Litrison” è come la Topolino, "Essenziale” è una Ferrari”! Le sue visite a domicilio, allora molto più frequenti di quelle ambulatoriali, erano qualcosa di più di un controllo medico. Erano un abbraccio. Conosceva i suoi pazienti. Forse sapeva quasi sempre cosa fare prima del controllo e quali tasti toccare per infondere fiducia. Il biglietto autografo che ci ha inviato dopo la morte di mio padre, testimonia l’amicizia, la stima, l’affetto profondo che ci ha sempre uniti. Leggendo un suo racconto dell'esperienza di medico condotto alle prime armi, mi è tornato alla mente un bellissimo brano di Renato Fucini da “Le veglie di Neri”. Ci sono somiglianze tra i due racconti, ma con un’eccezione forte. Il padre di Fucini era un burbero buono, vecchio stampo. Raffaello era un buono pure lui, ma dolcissimo, sia con la famiglia, sia con i pazienti. All’inizio degli anni ’60 lasciai Petrignano e ricordo di averlo incontrato solo pochissime altre volte, ma mi ha sostenuto in momenti molto difficili e appartiene perciò alla mia memoria indissolubile. |
Il biglietto di
condoglianze per la morte di mio padre (Questa è la trascrizione del biglietto inviatoci, la cui versione autografa si può leggere dal link). Carissimi, abbiamo ricevuto da qualche giorno il ricordino del caro Marsilio. Avrei dovuto al ritorno in sede, venire personalmente da voi, ma il lavoro e il coraggio me lo hanno impedito. Sono, purtroppo, un uomo di poche parole e so benissimo che le parole in simili circostanze sono inutili e non riescono a lenire né il dolore, né l’immenso vuoto che la persona cara scomparsa lascia dietro di sé. Con Marsilio mi consideravo come un fratello. Io solo so quante confidenze ci siamo fatte e quante cose gli ho sempre detto per tenergli alto il morale nei momenti più difficili e tanti, troppi ne ha passati! Ora nel mio correre giornaliero mi pare un sogno non vederlo più, non vedere il suo sorriso bonario, pronto al saluto. Eravamo quasi arrivati insieme in questo paese a volte ingrato verso il forestiero e quindi in ventisette anni di vita trascorsa insieme non potevamo che essere oltre che amici quasi fratelli. Il destino ha voluto così! Vi sia di conforto il suo esempio di onestà, di rettitudine, di amore verso la famiglia, i suoi nepotini che nominandoli solo gli brillavano gli occhi. Questo vi sia di conforto! Non so dirvi altro. Chi gli fu sinceramente amico come io lo sono stato non può dimenticarlo e con me la mia famiglia tutta. Vi abbraccio cordialmente tutti. 10/10/75 |
Le poesie Nel volumetto pubblicato dai familiari, “Inediti. Poesie e Racconti”, si legge di un uomo riservato, che ha difeso il suo privato con fermezza, fino al punto di distruggere la sua produzione di poesie e racconti, “perché erano cose sue che non potevano interessare ad alcuno”. Però in questo la modestia lo ha sovrastato, perché ognuno di noi, che lo voglia o meno, proietta sé stesso e la propria missione all'esterno, attraverso l'azione e la parola, ma anche con la scrittura, destinata a rimanere, a conferma della testimonianza in vita. Questo vale tanto più per uno come lui che ha speso la sua vita per tanti "altri". Ecco perché mi pare ottima la scelta dei familiari di farci conoscere le poesie e i racconti “perduti e ritrovati”, come racconta Enzo Lucente . E vale davvero la pena di leggerli. Di un racconto ho detto sopra. Le poesie hanno uno struggente filo conduttore: l’approssimarsi della morte. Ma più della umana paura del dopo, si avverte la nostalgia di una vita spesa bene, tra una professionalità vissuta al limite della dedizione e affetti familiari solidi. Infatti la morte è vista di volta in volta come sorella morte, un’abbagliante luce, l’approdo, il traguardo finale, la stazione d’arrivo , e un The end che, nel titolo, sembra esprimere una fierezza per gli obiettivi raggiunti (tutti), come scrive in "Pensionato". Il che dà la cifra dell'uomo. L’affresco finale (Per ingannare l’attesa) va segnalato per la straordinaria sintesi con cui è delineata la figura emblematica di un medico condotto, diciamo pure, di altri tempi e, perché no, per la costruzione letteraria. Le sue poesie si possono leggere nella pagina dedicata. |