Giancarlo Sacconi

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Il Piano del Commercio

Il Piano del Commercio del Comune di Assisi Studio preparatorio elaborato da Giancarlo Sacconi - Assessore al Commercio 1972

PREMESSA"
Nel momento in cui il Comune di Assisi si accinge a dare concreta attuazione alla Legge 426, per quanto riguarda la programmazione del settore distributivo, sembra opportuno delineare gli obiettivi di fondo, politici ed economici, a cui uniformare l'azione preparatoria del Piano.
Si tratterà di indicazioni di massima, linee politiche generali che assumeranno contorni precisi mano a mano che l'organo tecnico a cui è affidato l'incarico delle varie analisi, procederà nel suo lavoro, e poi attraverso gli interventi operativi che verranno effettuati a lavoro ultimato.
Ma già in fase di impostazione del Piano, si ritiene di promuovere il dibattito sulle linee politiche generali che dovranno caratterizzare l'azione dell'Amministrazione, in questo importante settore della vita economica nazionale, che in un Comune come il nostro assume la veste di struttura portante dell'economia locale.
Le varie tappe attraverso le quali si giungerà alla formulazione del Piano, verranno sottoposte alla verifica dei Comitati di Quartiere, della Commissione Urbanistica, della Commissione Comunale per il Commercio e delle Associazioni sindacali e di categoria interessate.
Al termine di questa complessa elaborazione, il Consiglio Comunale voterà un documento definitivo, che costituirà il punto fisso di riferimento dello sviluppo commerciale futuro.

LA LEGGE 11 GIUGNO 1971, n. 426 E IL PIANO DEL COMMERCIO
Tra le varie novità introdotte dalla Legge 426 nella disciplina del Commercio fisso, quella di maggiore rilievo è l'obbligo a carico dei Comuni di predisporre i "Piani di adeguamento e sviluppo della rete commerciale".
Il termine per questo adempimento, dopo successivi rinvii, è stato definitivamente fissato al 30/6/1975 -
I Piani avranno una durata quadriennale, dopo di che potranno essere soggetti a revisione.
Già nella enunciazione della Legge si possono individua-re alcuni principi a cui dovrà uniformarsi il Piano, e che si possono così riassumere:
- favorire una più razionale evoluzione dell'apparato distributivo;
- assicurare la migliore funzionalità e produttività del servizio da rendere al consumatore, nel rispetto delle previsioni urbanistiche;
- garantire il maggior possibile equilibrio tra istallazioni commerciali a posto fisso e la presumibile capacità di domanda della popolazione stabilmente residente e fluttuante.
Accanto a questi principi generali, la Legge fissa inoltre gli obbiettivi operativi:
· rilevazione dell'attuale consistenza della rete distributiva;
· norme e direttive per lo sviluppo ed adeguamento della stessa;
· determinazione, per i vari settori merceologici, della superficie minima dei locali adibiti alla vendita;
· determinazione del limite massimo in termini di superficie globale, eventualmente anche con riferimento a singole zone, separatamente per settori merceologici, della rete di vendita per generi di largo e generale consumo;
· ricerca di un adeguato equilibrio tra le varie forme distributive.

Ma il Piano non può limitare la sua efficacia al solo fine della razionalizzazione dell'apparato distributivo, essendo ben più ampie le implicazioni di ordine economico, sociale e territoriale che una sua corretta applicazione comporta.

Esso può e deve rappresentare un ben più efficace strumento a disposizione dell'Ente Locale, il quale, attraverso precise scelte politiche, deve trasformarsi in elemento stimolante del processo di formazione della rete distributiva.

Non il Comune inerte gestore del Piano, con il solo potere di autorizzare o meno la apertura di un punto di vendita in base alle prescrizioni di piano, ma un Ente pubblico moderno, attento interprete dello svolgimento della vita economica, e promotore di iniziative atte ad attenuare o eliminare gli squilibri esistenti nel settore.


LA FUNZIONE SOCIALE DEL COMMERCIO
Ogni proposta, ogni sforzo di superare le attuali carenze dell'apparato distributivo, rischiano di rimanere inerti, se non si inquadra il problema sotto un aspetto più propriamente sociale, accanto a quello economico.
La collettività ha diritto, accanto alla scuola, alla sanità, allo sport, ecc..., di usufruire anche della possibilità di acquisto dei beni necessari alla vita quotidiana, nei luoghi di residenza e di lavoro ed al minor costo possibile.
La politica dell'Ente Locale deve quindi tendere, innanzi tutto, a soddisfare le esigenze e le necessità del consumatore, attraverso una ristrutturazione del settore, tesa a conseguire questi obiettivi.
L'acquisizione del concetto "COMMERCIO=SERVIZIO", eviterà il ripetersi delle disastrose esperienze delle cosiddette "case-dormitorio".
Al riguardo vale la pena di indicare tra gli strumenti di intervento più efficaci, l'inserimento dei grandi negozi e dei centri commerciali integrati (oltre ai mercati rionali), nelle opere di urbanizzazione secondaria previste dalla legge 865, là dove l’imponenza dell'agglomerato urbano lo richieda. Ciò consentirà di sviluppare un'azione difensiva dalla speculazione edilizia e sulle aree, consentendo altresì ai Comuni, i quali dovrebbero disporre di più ampi poteri di intervento, di costituire un patrimonio di proprietà pubblica da offrire alle associazioni fra dettaglianti locali, per la realizzazione di centri commerciali integrati.
L'obiettivo di fondo del piano, deve quindi concretarsi nell'individuazione di tutte quelle forme di intervento, atte a difendere il consumatore da ogni tipo di speculazione, e a ridurre al minimo i costi sociali a carico della collettività, sulle quali si tratterà nel proseguo della presento relazione.

LA FRANTUMAZIONE DELL'ATTUALE RETE COMMERCIALE
Uno dei fenomeni più chiaramente deteriori, causa diretta degli squilibri determinatesi nel tempo nel settore distributivo, è la eccessiva proliferazione delle licenze e la conseguente frammentazione degli esercizi commerciali.
Le cause che hanno provocato la pesante situazione attuale, vanno ricondotte in gran parte alla mancanza di un adeguato strumento programmatico, e quindi al formarsi di una richiesta sulla base di una logica di quasi assoluto spontaneismo.
Ma è inutile nascondersi che una azione politica più rigorosa da parte degli Enti Locali, avrebbe potuto minimizzare questa fenomeno prettamente italiano.
La situazione palesemente anomala venutasi a verificare, può essere meglio compresa, se confrontata con quella degli altri paesi europei.- Secondo dati forniti dal Ministero dell'Industria, alla fine del 1971, gli esercizi al dettaglio erano in Italia 855.160, con un incremento rispetto all'anno precedente dello 0,9%. Il che vuol dire un negozio al dettaglio ogni 64 abitanti come media nazionale. Va considerata, inoltre, la presenza del commercio ambulante, con 296.270 licenze nel 1970, questo in decremento, pari ad una ogni 186 abitanti.
La stessa fonte precisa, che: "l'Italia rispetto alla Francia annovera, con appena il 6% circa in più di popolazione, il 70% in più di negozi e rispetto alla Repubblica Federale Tedesca, con il 10% in meno di abitanti, 1'80% in più di negozi. Alla densità di un negozio per 64 abitanti in Italia, si contrappongono quelle di un negozio per 164 abitanti in Svezia, per 124 nella Repubblica Federale Tedesca, per 101 in Francia, per 85 nei Passi Bassi e per 84 in Danimarca.
In Assisi, attualmente, il rapporto esercizi-popolazione,è di un negozio ogni 37 abitanti, con una presenza di ben 382 licenze ambulanti.
Tali dati non hanno bisogno di commento.

E' appena il caso di ricordare che una eccessiva frammentazione degli esercizi determina costi maggiori per il consumatore, basso reddito per i commercianti e la rottura dell’equilibrio nell’apparato distributivo: in sostanza è dannosa per tutti.
Attraverso il piano si dovrà quindi tendere il ribaltamento dell'attuale processo di formazione della rete distributiva, processo che ha visto nel passato il Comune passivo distributore di SÌ o NO ad autorizzazioni commerciali, rilasciate senza una visione oculata del problema nella sua globalità, e spesso con fini assistenziali o addirittura clientelari.


ASSOCIAZIONISMO E COOPERAZIONE
Di fronte a questa realtà, emerge chiaramente la situazione estremamente precaria in cui si trova ad operare la gran parto degli esercenti locali. E come sempre, le spese le fa . il consumatore. In molti casi, infatti, il piccolo esercente si trova nella impossibilità di migliorare un servizio che non consente introiti adeguati; indifeso di fronte ai proditori aumenti di prezzo che riversa totalmente sulle spalle di un consumatore altrettanto indifeso; incapace di far fronte alle mille difficoltà quotidiane con iniziative diverse dall'unica arma in suo possesso (ma a doppio taglio) dell’aumento del prezzo dei generi venduti.

L'associazionismo e la cooperazione appaiono come le uniche forme idonee a difendere, insieme, il piccolo e medio commerciante, e il consumatore.
Da una parte, minor costo dei prodotti, acquistati in quantità maggiore e con sconti superiori; e quindi rilevanti scorte, con la insostituibile funzione calmieratrice in momenti difficili, e maggiore possibilità di scelta per il consumatore.
Dall'altra, riduzione delle spese di gestione e maggiore capacità di investimenti diretti al miglioramento delle attrezzature, che determinano una ulteriore diminuzione delle spese, e un miglioramento del servizio reso al consumatore.
È in questa direzione che, attraverso il Piano, il Comune dovrà promuovere la riorganizzazione del setto-re distributivo.
A conforto della esattezza di questa impostazione, va rilevata la tendenza già manifestatasi nel nostro territorio, dell'organizzazione in gruppi di acquisto e di altre forme associative, le quali, dopo questa prima esperienza positiva, si stanno indirizzando anche verso la gestione comune di supermarket o centri commerciali integrati.
Va ricordato, ancora, l'orientamento in tal senso della Regione che si è espresso nel recente provvedimento diretto al finanziamento di gruppi e cooperative di acquisto.
Ma ancora una volta è il confronto con la realtà degli altri paesi Europei, che meglio rappresentano l'urgenza di invertire la rotta.
Sempre secondo la fonte sopra citata.
"complessivamente i commerciante al dettaglio che aderiscono a unioni o a gruppi di acquisto rappresentano, rispetto al totale dei commercianti in attività, il 6,5% nel settore alimentare e lo 0,5% nel settore non alimentare.
  La cifra di affari del commercio associato, costituisce sul totale del commercio al dettaglio
il 5,1% in Italia, il 34,6% nella Repubblica Federale Tedesca, il 25,5% in Svezia, il 20,3% nei Paesi Bassi il 18,3% in Danimarca 1'8,6% in Belgio, il 7,5% in Francia". -


LA GRANDE DISTRIBUZIONE
La presenza della grande distribuzione nel nostro territorio, appare subito in forte contrasto con le osservazioni sin qui fatte e le scelte che ne derivano. È un problema questo che va affrontato e risolto in sede di piano, anche se la materia, proprio per la vastità di simili iniziative, è di stretta competenza Regionale.
L'Ente Locale, ed è questa una precisa scelta della Regione, verrà chiamato ad esprimere il proprio parere, in presenza di iniziative di questa portata.
Va innanzitutto precisato che il concetto di grande distribuzione è limitato ad iniziative del tipo ipermercati, shopping centers, e simili, ben diversi dai tradizionali super-mercati alimentari o dai centri commercia-li integrati.
La definizione che ne dà 1'INDIS è la seguente: "forme di distribuzione al dettaglio su grande superficie e con grandi parcheggi e servizi collaterali,, ubicate al di fuori dei centri urbani maggiori e raggiungibili esclusivamente o prevalentemente da consumatori motorizzati".
Una prima considerazione sorge spontanea e cioè lo sconquasso che si viene a determinare nell'economia del territorio in cui una tale iniziativa sorge.
Queste strutture non si inseriscono nel contesto economico locale, ma vi irrompono, sovrapponendosi al tessuto esistente e provocando guasti profondi, senza dare alcun contributo alla riqualificazione delle periferie.
Si può tentare una elencazione delle conseguenze negative, che tali iniziative possono causare:
· grave danno economico di una gran parte degli operatori locali, e probabile eliminazione degli stessi, con conseguenti ripercussioni negative sull'occupazione;
· accentuazione dello squilibrio nel settore distributivo, in seguito all'intervento di capitale finanziario, distratto dai normali impieghi produttivi e immobiliari, e quindi ulteriore distrazione del processo economico;
· impiego di capitale esterno che non favorisce lo sviluppo dell'economia locale;
esasperazione della motorizzazione privata, e della mobilità del consumatore.
Il consumatore in effetti potrà usufruire di un servizio diverso e sotto altri aspetti più favorevole.- Ma si tratta di un vantaggio effimero e fittizio, controbilanciato come è da tutta una serie di costi sociali che si possono così riassumere:
· necessità di lunghi spostamenti in automobile;
intervalli settimanali nella spesa e prospettiva di trascorrere il sabato pomeriggio in macchina. come momento di libertà, per dedicarsi agli acquisti nell’interno di un ipermercato;
dilatazione della congestione urbana fino al limiti delle periferie;
stimolo al consumismo, causato dalla grande varietà di prodotti offerti e dalla loro presentazione, tesa a creare bisogni artificiali nei visitatori.
 Può apparire, forse, prematuro ipotizzare situazioni che oggi sembrano improponibili nel nostro territorio, avendo in mente l'espansione del fenomeno limitata alle grandi aree metropolitane.
Alcuni fatti recenti, però, sembrano indicare che, dopo la lotta che si va conducendo contro la speculazione edilizia e sulle aree, il grande capitale sia orientato a rivolgersi proprio verso il settore distributivo, e questo ci deve indurre a prevedere, in un piano urbanistico-commerciale di lunga portata, gli strumenti idonei alla difesa dell'economia locale da questo più che probabile assalto.
 
IL RUOLO DEGLI ATTUALI OPERATORI ECONOMICI NELLA GESTIONE DEL PIANO
Se rifiutiamo l'ingresso di forze economiche esterne, si rende però necessaria una riorganizzazione del sistema distributivo che, come si è visto, punti sulla riqualificazione degli attuali operatori, attraverso l'associazionismo e la cooperazione.
 
I capitali, in questo caso, sono reinvestiti nell'ambito del medesimo settore in cui vengono a prodursi.- E allora, eliminato il dannoso sovrapporsi di forze economiche esterne, le quali producono solo effimer-i benefici, il settore potrà realizzare uno sviluppo concreto e non fittizio della sua produttività, a tutto vantaggio del-la comunità intera.
 
Questa premessa postula una scelta politica di fondo, vale a dire la partecipazione attiva e operante degli attuali esercenti nella gestione del Piano. In sede di ristrutturazione della rete commerciale verrà assegnata cioè la precedenza ai commercianti che attualmente esercitano la loro attività nel territorio, escludendo sovrapposizioni e, come abbiamo visto, interventi economici esterni. In altri termini, nel processo di riequilibrio dei centri di vendita da prevedere nelle varie zone in cui verrà suddiviso il territorio comunale, verranno preferiti e interpellati quegli esercenti che operano in zone sovrassature, affinché, attraverso trasferimenti programmati, ovvero la creazione di nuovi centri da essi gestiti in associazione, sia possibile realizzare la migliore e più economica ubicazione degli esercizi.
 
Il piano, infatti, pone al servizio dell'operatore economico, dati e indicazioni indispensabili per la valutazione economica di certe scelte, quali ad esempio superfici e localizzazioni ottimali in relazione alla capacità di domanda della popolazione residente e fluttuante.- Trasferimenti o nuovi insediamenti, potranno quindi essere decisi sulla base di elementi attendibili, tali comunque da minimizzare le incertezze e i rischi che fino ad oggi hanno caratterizzato ogni iniziativa commerciale.
Solo su queste basi, sarà possibile difendere il ruolo di protagonista del processo distributivo, sin qui rappresentato dal piccolo commerciante nel nostro Comune, ruolo destinato altrimenti ad essere relegato in posizione subordinata e del tutto marginale, rimanendo ad esso, come sola scelta possibile di fronte alla grande distribuzione, la vendita di prodotti specializzati, ipotesi questa che non può che essere rifiutata.


LE ZONE COMMERCIALI
La suddivisione dei territorio comunale in zone, suggerita anche dalla Legge 426, è una scelta che consente una più controllabile e attenta operatività del Piano.
Le zone corrispondono ad una parte di territorio, all'interno del quale dovrebbe essere assicurata la commercializzazione di tutti i beni di prima necessità.
L'insieme di più zone dà luogo ad una dimensione territoriale più ampia, nel cui ambito va salvaguardata la soddisfazione di quei bisogni legati a beni non di largo consumo, per i quali il consumatore è disposto ad una maggiore mobilità.
Tale suddivisione è particolarmente utile per individuare l'effettiva necessità dell'insediamento dei vari esercizi commerciali.
Sarà possibile cioè, per ogni zona, conoscere, attraverso l'insieme delle indagini, se esiste carenza di un certo tipo di prodotto, e quindi spingere i commercianti ad insediarsi nella zona, ovvero, se ce n'è in esuberanza, proporre ai commercianti soluzioni alternative,‑

IL COMPRENSORIO
Sarebbe stato auspicabile che, in fase di formazione del piano, il Comprensorio fosse già stato definito nei suoi aspetti politico-amministrativi, e che quindi il piano stesso fosse stato elaborato sulla base di elementi riferiti ad un più vasto ambito territoriale.
 È fuori dubbio, infatti, che al di là delle ripartizioni amministrative, esistono strette interrelazioni nelle attività commerciali che si svolgono in territori che si presentano omogenei, anche se suddivisi in comuni diversi. Basti pensare, nel nostro caso, al Comune di Bastia.
Il Comprensorio, come scelta politica ed operativa, rimane comunque l'obiettivo da perseguire nel corso delle future revisioni dei Piano.
Nel frattempo, si può tenere conto del Disegno di Legge Regionale - Atto n.805 “Norme per la formazione del Piano Urbanistico territoriale regionale”, nel quale vengono indicati i comprensori economico-urbanistici, e il Comune di Assisi risulta far parte del Comprensorio IV, comprendente anche i Comuni di Bastia, Bettona e Cannara.
 Poiché il nostro Comune ha già affidato l'incarico per la redazione del piano, i cui studi sono in fase avanzata, mentre non risulta che altrettanto abbiano fatto i tre Comuni predetti, si potrà sollecitare presso queste Amministrazioni, un’attenta comparazione dei loro successivi elaborati, con il Piano che riguarda il nostro territorio, al fine di uniformare, per quanto possibile, le scelte immediate e facilitare la futura, indispensabile unificazione dei singoli strumenti.

CONCLUSIONI
Una ristrutturazione della rete distributiva non può peraltro, prescindere da altri tipi di intervento, oltre a quelli consentiti all'autonomia comunale.
 In particolare, occorrono agevolazioni sul credito al commercio; un miglioramento delle strutture per l'approvvigionamento, la conservazione e la commercializzazione all'ingrosso dei prodotti; finanziamenti per favorire ]'associazionismo sia nell'acquisto che nella distribuzione.
Sono tutti problemi, questi, già affrontati in vario modo dalle Regioni: nel primo caso con una proposta di legge presentata al Parlamento unitariamente da tutte le Regioni., negli altri casi con leggi già operanti, che attendono solo di essere applicate.
Concludendo, si può affermare che, una volta reperiti gli elementi conoscitivi di fondo, che verranno forniti dalle indagini in corso affidate alla Soc.SOMEA, e avendo ben chiari gli .obbiettivi da perseguire, sui quali questa relazione ha voluto dare il suo modesto contributo, si potrà passare poi alla fase operativa vera e propria, di gran lunga la più difficile e delicata.
Sarà quello il momento dell'azione politica efficace e incisiva, delle proposte concrete, che dovranno caratterizzare il Comune come l'elemento propulsore del processo di adeguamento e sviluppo della rete distributiva.
1972
Giancarlo Sacconi Assessore al Commercio