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Giancarlo Sacconi

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I Valori

I VALORI

I valori, di cui si parla quotidianamente, nessuno si azzarda a declinarli, perché ci si accorgerebbe della debolezza del concetto in sé.
Si sottintende che sono valori positivi, ovviamente, ma anche di questi c’è grande confusione di idee.
Ad esempio. il giustizialismo è un disvalore, eppure i fautori di tale pratica lo definiscono un valore, cambiando le carte in tavola e confondendolo con il concetto di legalità.

Il potere deve essere legittimato da un “pensiero”, da un “principio”, da un “progetto politico”. Solo questo giustifica il potere e lo distingue dal potere fine a se stesso, nudo e crudo e foriero di esiti antidemocratici.
In presenza di un “pensiero”, di un “principio”, di un “progetto politico”, si formano i valori.
Diciamolo pure: è l’ideologia che forma i valori.

Ma quando la legge dei numeri, sostituisce la politica, (ovvero l’ideologia che la determina) i valori si disperdono come polvere al vento, o meglio non esistono proprio.
Dicono alcuni che la legalità e la legittimità sono valori di per sé.
Ma il rispetto delle leggi risponde a una condizione sine qua non della convivenza civile.
È semmai il contenuto delle leggi che delinea dei valori.
Ma quando queste leggi sono fondate sul pragmatismo del giorno per giorno, del “tirare a campare”, esse non hanno una lunga durata temporale e nemmeno capacità persuasiva.
E non c’è altro da aspettarsi da una procedura legata ad un mero calcolo dei voti (vedi valori condivisi).
E tanto meno c’è da aspettarsi, né si può esigere, fedeltà e lealtà.
Infatti, molti di coloro che si richiamano alla legalità come valore, cercano in tutti i modi poi di rendere innocue quelle leggi, e si appellano con clamore agli enti superiori di controllo, quando non a referendum abrogativi, tutto secondo legge ovviamente!

TRASFORMISMO

Un corollario di questo pragmatismo imperante è il trasformismo.
Se non c'è appello ad una fede, o il vincolo di un pensiero, non ha senso chiedere continuità di adesione o gridare alla vergogna del tradimento.
A che cosa mai si dovrebbe restare fedeli?
Che cosa mai si sarebbe abbandonato e abiurato?

I progetti politici si richiamano a entità trascendenti o a realtà terrene, non sono verità, ma capaci di interpretare un certa epoca storica, di convincere gli elettori, e di offrire al potere un fondamento di legittimità.

 

La tirannia dei valori.

Ogni valore una volta che ha acquistato potere su una persona,  tende a divenire tiranno esclusivo, anche a spese di altri valori e persino nei confronti di quelli che non gli sono diametralmente opposti.
Questa signoria tende a perpetuare e inasprire la vecchia lotta delle convinzioni e degli interessi. Quando una convinzione o un interesse viene elevato a valore, si finisce per giustificare qualunque mezzo per instaurare l'autentico "regno dei fini", il che fa della nostra realtà quel "paradiso dei valori" che non è altro che l'inferno per le persone in carne e ossa.

Purtroppo i valori sono cose sulle quali non si discute, o non si discute più.


Valori e Ideologie

Le ideologie appartengono alla storia, ma per il loro superamento definitivo la traversata si rivela più lunga di quanto affermato a gran voce un po’ da tutti. Il ribaltamento determinato dalla caduta del muro, con il nazifascismo già spazzato via dalle guerra, ha lasciato tutti i protagonisti di stagioni ormai superate alle prese con le loro nostalgie di un passato irripetibile. Quello che doveva essere un naturale passaggio di testimone tra generazioni è stato spazzato via dalla vicenda giudiziaria dei primi anni ’90. Così gli epigoni del comunismo e del fascismo, le due grandi ideologie del XX secolo condannate dalla storia, hanno cercato di riciclarsi rinnegando il loro passato, favoriti da una classe imprenditoriale adatta per tutte le stagioni, con l’unica eccezione che ha interrotto l’innaturale disegno egemonico abbozzato dall’alleanza progressista del ’94. Grazie a Berlusconi infatti questo non si è verificato.
Lo spaesamento determinato da questa imprevista svolta, ha di nuovo fatto riemergere in una società orfana delle ideologie, l’esigenza di un riferimento sacrale, alla base della politica. Personaggi che si atteggiavano e si atteggiano a profeti, sono così saliti sul carro dei Valori (con la V maiuscola). Il Partito Democratico si fonda su un “Manifesto dei valori” (definito da Gianfranco Pasquino ‘raccapricciante’) e si è giunti perfino a costituire un partito denominato “L’Italia dei Valori”. In politica i riferimenti ad un “pensiero” ad un “principio” ad un “progetto politico” sono i soli che possono giustificare il potere e lo distinguono dal potere fine a se stesso. Ma se queste convinzioni o interessi vengono elevati a valori assoluti si finisce per giustificare qualunque mezzo per attuarli, e qui ritorna il vecchio vizio egemonico della “diversità” berlingueriana e, se vogliamo, anche togliattiana.

Nella Germania del dopoguerra la Giurisprudenza della Corte Costituzionale fa riferimento a “ideali” concepiti come “valori” quali Pace, Libertà, Giustizia, Tolleranza, Lavoro, Benessere, Solidarietà e via dicendo”. Tutto ciò assomiglia tanto ad un tabernacolo dei valori davanti ai quali non si scherza e non si sbadiglia.Purtroppo i valori sono cose sulle quali non si discute, o non si discute più. È in atto nel nostro paese, ma anche in altri, un revival di posizioni neo fondamentaliste, e non solo in campo religioso. Più in generale sussiste un conflitto ineliminabile tra la libertà e i valori. Se si prendono questi ultimi sul serio, si finisce sempre col restringere la libertà.

 

Il concetto di valore nasce con l’economia: tutte le cose hanno un valore, il valore di scambio. Ma già Kant affermava che le cose hanno un valore relativo, mentre l’uomo non rientra in queste categorie, perché si può parlare della persona solo in termini di dignità e non di valore.
Nel secolo XIX il parlare di valori diviene abituale e poi addirittura popolare. Perfino Dio viene coinvolto come “il valore più alto”, un concetto che ne degrada, com’è evidente, la stessa essenza.

Post-ideologici con in tasca i valori.

Quando il valore fuoriesce dall’economia e viene applicato al campo etico, politico, e giuridico, la sua attuazione sottintende la distruzione di altri valori non coincidenti. Ogni valore, infatti, implica un disvalore. E il valore una volta dichiarato rimane lì in attesa di essere attuato, esige che tutto quello che è in contrasto con esso, cioè il disvalore, venga soppresso.

Il solo fatto di proclamarlo significa che si è determinati ad applicarlo anche con la forza. Infatti i valori, come il diritto, restano lettera morta senza una capacità di coercizione, e allora proclamare a mani nude dei valori non significa niente, perché per attuare una qualche cosa bisogna imporla, e l’imposizione richiede la forza.  

Dichiararsi post-ideologici facendo un elenco di valori significa esacerbare il conflitto ideologico, insito nel richiamo ai valori.

 

 


Max Weber

I valori, secondo Max Weber, rientrano invece nell’ambito della soggettività, sono scelte individuali e decisioni private. Non valori assoluti, dunque, ma valori relativi che riguardano “solo me”, il che implica il massimo rispetto per le scelte altrui. La logica dei valori assoluti determina solo conflitti, perché il loro carattere di esclusività mina alla radice ogni possibile confronto, cristallizzandolo in opposizioni morali, intransigenti, non negoziabili: chi aderisce a valori opposti, rispetto a quelli ritenuti corretti, è considerato nemico, e merita solo di essere combattuto o annientato.

 

 

Un individuo, un gruppo, un’etnia, se armati di valori, diventano pericolosi. Il fanatismo e il terrore sono gli sbocchi naturali. Non esistono valori assoluti. Chi ha creduto nei valori assoluti e ha voluto applicarli ha portato solo catastrofi all’umanità: il riferimento al secolo scorso è d’obbligo, e, anche se in ottica diversa, non possiamo dimenticare gli anni bui dell’inquisizione.  Bisogna disinnescare la spirale dei valori e rinunciare a una sovradeterminazione morale dell’agire politico. È un errore reintrodurre i valori - cioè la morale - nel diritto e nella politica. Se la politica è l’arte del possibile ne consegue che i politici devono essere culturalmente preparati a confrontare e modificare le proprie convinzioni con quelle di altri portatori di convinzioni differenti, anche nell’ambito dei medesimi schieramenti. Ecco perché chi proclama un valore dovrebbe aggiungere sempre quella postilla “secondo me”. Perché i valori non sono ciò che unisce, come vorrebbe la retorica politica, o II collante di una società, capace di tenerne insieme l'identità. Ma chi afferma che il fatto di proporre dei valori non significa farli valere con la forza, ma semplicemente di perseguirli come obiettivi e di cercarne la condivisione, è in errore o in mala fede. Questa di condividere valori è la contraddizione massima di coloro che si dichiarano democratici, perché da un lato, si afferma un principio assoluto, e, dall'altro, si costruisce tale principio su una certa quantità di consenso. I valori, considerati come assolute oggettività, non hanno bisogno di condivisione. Valgono perché valgono. Se hanno bisogno di consenso, significa che li vuole una certa maggioranza, quella che poi li condividerà. Quindi è la quantità a definire l’assolutezza. Muta la maggioranza che li ha votati, mutano i valori. Allora i valori condivisi sono i valori dei più, non sono i valori dei meno. Perciò i meno non hanno valori! Eppure nessuno sembra poter fare a meno dei valori, perché forse ci danno l’illusione di un orientamento morale, e anche perché in molti casi servono a chi li declina per posizionarsi nella guerra di tutti contro tutti. Il risultato sembra essere quello di una svalutazione complessiva dei valori, dato che forte è l'impressione che chi fa questi proclami stia mentendo.